Gli altari e la polvere del premier Renzi

venerdì 1 agosto 2014


Nessun dubbio che la battaglia sulla riforma del Senato sia solo la cortina fumogena dietro la quale si svolge il braccio di ferro sulla riforma della legge elettorale. Lo ha confermato lo stesso Matteo Renzi, lasciando intendere che l’Italicum potrebbe essere ritoccato per venire incontro alle richieste delle forze politiche minori, in particolare di Sinistra ecologia e libertà e del Nuovo Centrodestra, in cambio di una approvazione entro agosto della riforma di Palazzo Madama. Ma quali potrebbero essere le modifiche da apportare alla legge elettorale passata alla Camera? L’interrogativo è interessante.

Ma, a parte la considerazione che una risposta sembra essere già venuta dal cosiddetto “Toscanellum”, cioè dalla riforma della legge elettorale concordata in Toscana che mette insieme preferenze e listini bloccati, sbarramenti ridotti e ballottaggio, il quesito più importante è sicuramente un altro. Ovvero: era proprio necessario fare una battaglia di copertura su una riforma fasulla come quella del Senato, per nascondere la vera trattativa sulla riforma della legge elettorale? La domanda riguarda direttamente il presidente del Consiglio, che ha scelto di impostare in questi termini il problema delle riforme istituzionali e della legge elettorale.

E che invece di separare nettamente le due questioni affrontandole una alla volta ha voluto usare la prima per coprire la seconda, ottenendo come risultato quello di paralizzare il Parlamento in una attività senza costrutto e distogliere l’attenzione del Paese dai problemi reali. Renzi sostiene che se l’Italia non dimostra all’Europa di saper fare le riforme perde la credibilità che avrebbe conquistato con la sua conquista di Palazzo Chigi e con il suo recente risultato elettorale. Ma la sua è una affermazione priva di fondamento. Perché all’Europa non interessa scoprire se il nostro Paese abbia la capacità di abolire o meno il bicameralismo perfetto. Aspetta solo di vedere se il Governo Renzi abbia la forza per incidere realmente su quelle cause che stanno trascinando l’Italia sulla strada dell’Argentina.

Cioè se è in grado di realizzare la riforma del lavoro, quella del fisco, quella della giustizia, quella della burocrazia, cioè le uniche riforme in grado di impedire che il Paese venga risucchiato nel baratro di un fallimento destinato a provocare conseguenze devastanti sull’intera Unione Europea. Ma Renzi sembra infischiarsene di questa attesa. La Confcommercio denuncia che la pressione fiscale ha raggiunto la cifra record del 53,5 per cento. La Confindustria ripete che la produzione non riprende e che la disoccupazione aumenta senza soste, l’Istat sforna cifre a getto continuo sullo stato disastroso dei nostri conti e, ultimo in ordine di tempo, il commissario per i tagli, Cottarelli, comunica che continuando a usare i tagli per nuove spese in autunno sarà sicuramente necessaria una manovra da almeno 16 miliardi destinata ad aumentare la già insostenibile quota di rapina compiuta dallo Stato ai danni dei contribuenti.

Il presidente del Consiglio non si cura di queste indicazioni drammatiche e appare solo preoccupato di coprire con la battaglia sul bicameralismo la trattativa sulla legge elettorale. Come se il suo unico interesse fosse quello di prepararsi al momento di tornare alle urne per presentarsi come il campione del rinnovamento che fa piazza pulita dei suoi oppositori. Ma a Renzi che pensa che governare sia solo una parentesi inutile tra una elezione e un’altra va ricordato che nel corso della parentesi non si possono deludere gli elettori. Perché in questo caso anche i più grandi altari finiscono in polvere.


di Arturo Diaconale