Matteo Renzi è un “Creazionista”?

mercoledì 6 agosto 2014


Matteo Renzi è un “creazionista”? Crede, cioè, che l'Universo sia opera di un dio, che lo avrebbe creato, in un solo istante, dal nulla? O pensa, come tutte le persone di buonsenso, che l'evoluzione non sia altro che un’infinita catena di transizioni di stato e, quindi, di fasi convergenti -anche se, temporaneamente, divergenti- verso un unico fine? Allora, se la pensa come un ragionevole liberale, anche per il rilancio dell’economia italiana (dove contano solo tagli drastici alla spesa pubblica, la “flat tax” e la deregolamentazione drastica, a favore della libera impresa), come fa ad atteggiarsi a onnipotente, pensando di moltiplicare i pani e i pesci, soltanto con le sue riforme istituzionali, che dovrebbero convincere i nostri creditori e controllori internazionali ad allentare i cordoni della borsa, consentendoci il tanto agognato “sforamento”? La crescita vera non ha bisogno di violare alcuna soglia e, come si è avuto modo di verificare, non si rilancia con gli 80€/mese - che non solo sarà molto difficile da mantenere per gli attuali beneficiari, ma addirittura impossibile da estendere ad altre categorie di reddito, per il prossimo anno. Mi chiedo: l’attuale classe politica di nominati (si rinvia, per i profili di grave inopportunità, alla recente sentenza della Corte Costituzionale sul Porcellum), priva com’è di un mandato specifico degli elettori, ha diritto di stravolgere l’intero impianto costituzionale, con un semplice accordo tra Partiti, su impulso di un Governo (il terzo) del presidente?

Perché non si trova il coraggio (rifuggendo, così, dal “creazionismo costituzionale”) di indire l'elezione di una Nuova Assemblea Costituente, che lavori in parallelo a quella ordinaria, la quale, nel frattempo, non potrebbe azionare l’Art. 138 Cost. per le riforme? Detto con tutta franchezza, temo che la scelta di far decidere riforme così incisive all’attuale Parlamento si riveli, alla fine, un rimedio peggiore dei mali che ci affliggono! Malgrado l'acclarata incostituzionalità del Porcellum, si continua con le liste bloccate dei nominati dai Partiti. Le primarie sono una vera farsa, in queste condizioni. La Corte Costituzionale dice che la preferenza è praticamente obbligatoria, e Renzi e i suoi bardi pensano di sottoporre a giudizio “preventivo” della stessa Corte le loro trovate elettorali. E perché, allora, non le sottopongono questo contorto progetto di riforma del Senato? La sentenza sul Porcellum è pubblica. Fatto salvo il latinorum e un italiano poco corrente, varrebbe la pena di documentarsi, non credete amici del Pd? Avete mai pensato che, tra due anni, gli elettori, in occasione del referendum (altra anomalia grave: come fa a chiederlo la stessa maggioranza - la vostra - che ha approvato la legge?) bocceranno a furor di popolo questa riforma, già poco amata? Voi dite che non importa, tanto, all’epoca, Renzi avrà costruito il suo piccolo impero di elettori fidelizzati, che lo faranno stravincere alle elezioni del 2018? Staremo a vedere.

Vi siete chiesti perché se governa la sinistra non cambia nulla? Perché è tutto uguale a prima? Ricorro a un concetto matematico, per la relativa spiegazione: all’interno dell’odiata Globalizzazione, i problemi economici obbediscono alla legge dell'invarianza ideologica. Ovvero: chiunque tu sia, comunque tu la pensi e ti definisci politicamente, i problemi reali quelli sono, e quelli devi risolvere, se vuoi governare. Se non lo puoi fare (come, oggi, non lo puoi fare, perché i veti incrociati, il blocco sociale costituito dagli immensi interessi corporativi esistenti, dalle lobbies, ecc., non te lo consentono), allora ti dedichi al movimentismo inconcludente, o “affaccendamento inoperoso”, in termini psicoanalitici. Ovvero: fai finta di fare sfracelli, pur restando perfettamente immobile! Unico rimedio per racimolare sempre più soldi, utili a nutrire l’idrovora statale, è quello di imporre nuove tasse, sempre più tasse, finché il malato Italia ci resterà secco per davvero. Allora, o “Troika verrà”, oppure finirà come quella storia araba del cammello (quest’ultimo, identificato con i produttori netti di ricchezza): sarà l'ultima pagliuzza (della tassazione) a spezzargli la schiena! Dopodiché: default, o Troika a gogo'. Tertium non datur, a meno che non vogliamo tornare a stampare moneta, con l'inflazione a tre cifre! Già, perché sapete qual è il rischio vero che corriamo, miei cari “moderati” che avete votato il demiurgo Renzi? Che se dovesse fallire lui, potremmo rischiare di ritrovarci con un demiurgo ben peggiore, magari un Pifferaio magico, pronto a guidarci al ritorno alla lira, all'iper inflazione e all'autarchia pauperistica. E per affermarsi “democraticamente” quell’imbonitore, farà, ancora una volta, con successo, appello alla Maggioranza elettorale trasversale, che campa - da sempre - di welfare (spesa pubblica) e vince “tutte” le elezioni, a partire dal Secondo dopoguerra.

Mi chiedo, però, se i discorsi sulla miniarchia e il capitalismo anarchico siano una soluzione teorica alternativa credibile e accettabile. Il problema è rappresentato dalla seguente equazione “Stato leggero ed efficiente + impresa privata libera = creazione di ricchezza netta”. Quindi, sfatata la favoletta dei dipendenti pubblici che pagano (grazie al sostituto d’imposta) una marea di tasse - dato che questa rivendicazione è palesemente falsa, facendo l’erogazione degli stipendi pubblici e della relativa, finta tassazione (ma che senso ha, spiegatemi, dare il lordo, per poi erogare il netto, in questo caso, se non produrre altra, immensa, inutile burocrazia?) - rimane da trovare una seria alternativa all’invito di Luttwak di licenziare centinaia di migliaia di impiegati pubblici.

L’unico rimedio, sul quale insisto da un decennio a questa parte, è di individuare un "gioco a somma positiva" (ovvero, che consenta un'equi redistribuzione dei vantaggi per tutti i partecipanti), per cui gli impiegati pubblici si tramutino da percettori netti di ricchezza prodotta da altri, in produttori netti di ricchezza essi stessi. Solo in questo modo, infatti, potrebbe vanificarsi l’imperativo luttwakiano di un alleggerimento di massa del pubblico impiego (giustissimo, in via teorica, visto che, soprattutto al Sud e al Centro la Pubblica amministrazione è stata un gigantesco ammortizzatore sociale intellettuale, creando posti fittizi e inutili per milioni di potenziali disoccupati intellettuali).

Nel caso del lavoro burocratico, tout-court, è chiarissima una cosa: la stragrande parte della produzione amministrativa ha, esclusivamente, carattere interno (o di “interna corporis”, come si dice), procurando zero vantaggi al cittadino, che paga di tasca sua, quindi, un lavoro pletorico e inutile. Pertanto, se ogni impiegato pubblico odierno fosse riconvertito in libero imprenditore (previa congrua liquidazione), e si facesse un elenco dei prodotti amministrativi (licenze, autorizzazioni, etc.) che interessano esclusivamente il cittadino, corredati ciascuno dal rispettivo standard di tempistica, qualità e costo, l’impiegato pubblico, così riciclatosi, guadagnerebbe in proprio, divenendo un produttore netto di ricchezza, in quanto il suo lavoro avrebbe un “vero” mercato!

La nuova figura di ex impiegato, ora padrone del suo lavoro, potrebbe avvalersi di una tassazione agevolata, con un’aliquota molto bassa, visto che a lui spetta il compito esclusivo di produrre beni di pubblica utilità, non appaltabili ad altri soggetti, in quanto lo Stato deve poter garantire la piena contemperazione degli interessi pubblici e privati in gioco, su ogni singolo provvedimento richiesto. Invito la politica a ragionarci un po’ su, rispetto a questa soluzione “anti Luttwak”. Non si sa mai.


di Maurizio Bonanni