La corsa strampalata   di Matteo Renzi

Avete visto il nostro premier – in pantaloncini e camicia azzurra – buttarsi addosso l’acqua gelata per la battaglia anti Sla. Anche lui ha partecipato al rito della nostrana tragedia estiva, quella dell’imitazione importata dagli Usa dove però evitano al massimo la politica mentre da noi è stata tutta una doccia fredda da parte di ministri e ministre varie. Una minestra scotta, altro che ghiacciata.

Siamo provinciali e per il nostro premier è un correre continuo, una fuga da una capitale all’altra, da una stretta di mano all’altra, selfie compreso. La corsa, l’instabilità, il muoversi di continuo: questa è la cifra di Renzi. E allora rifacciamoci la bocca con qualche testo sacro del New Deal non inteso come politica, bensì come letteratura.

Negli anni Trenta andavano per la maggiore autori come Fitzgerald, Steinbeck, Dos Passos e altri rimasti a marcare un’epoca settorialmente, magari nel cinema come nel caso di Budd Schulberg che, nel suo “Dove corri Sammy?” mette a fuoco un personaggio frequente in quel decennio “di corsa e di rabbia”.

Sammy è un giovanissimo produttore che, con le buone e con le cattive, dando spallate e lavorando ai fianchi chi di dovere, riesce a imporsi – al di là di qualsiasi scrupolo – nella Babilonia del cinema mondiale. Ma le corse sono destinate a finire contro un muro.

Dunque, dove corri Matteo? Non è che si vogliono fare parallelismi, peraltro improbabili a distanza di oltre novanta anni e in un contesto sociale un po’ ma non molto diverso. Eppure il tema della corsa del leader italiano richiama non poche atmosfere di un certo tipo di letteratura e di cinema e società di quell’epoca, anche perché i tipi e i personaggi di allora e di oggi sono costretti a correre inseguiti dalla spietata legge del default. Oggi si corre di più, perché l’aereo ha imposto ritmi vertiginosi e sottratto quel margine di tempo sempre necessario alla riflessione. L’instabilità, il moto perpetuo, era un caratteristica dello stesso Cavaliere soprattutto nell’ultimo anno – il 2011 – stretto fra il vuoto lasciato da Fini, le prepotenze leghiste, i dissapori tremontiani e la schizofrenia dello spread. Benché Renzi non abbia di questi retaggi grevi e impedenti, la velocità che imprime quotidianamente alle diverse azioni governative e politiche è a livello competitivo con Berlusconi.

Se ci avete fatto caso, grazie a una curiosissima dislocazione dei corpi in virtù di aerei di servizio, Matteo fa il suo discorso in Europa dopo aver visto di corsa Hollande e Draghi. Dopodiché lo becchiamo all’Expo milanese, successivamente con falcate centometriste salpa (metaforicamente) per la Capitale dove, a sera inoltrata, presenzia a un vertice di maggioranza. A seguire, fa una riunione del pre Consiglio dei ministri previa una telefonata al Quirinale e, poco prima, un selfie con alcuni bambini davanti Palazzo Chigi.

Ci si chiede se la corsa debba avere una conclusione costruttiva e realizzativa. La domanda se la pone, immaginiamo, lo stesso premier che resta comunque il leader più attento e più veloce degli altri. Forse anche il più furbo. Lui ci risponde con la consumata tecnica del decisionismo, dell’annuncio forte, della frase inesorabilmente ultimativa collegata al rinnovato cronoprogramma. L’importante è mai spiacere all’opinione pubblica. E tanti selfie coi ragazzi.

È una tecnica adattata da Renzi al suo procedere e che il premier rinnova di volta in volta grazie anche alla dislocazione, nella convinzione che soltanto imprimendo una velocità ai lavori in corso questi vadano poi avanti da soli. Il che eviterebbe, in teoria, di diventare impopolare.

È un errore, una illusione ottica dovuta soprattutto alla vischiosità del sistema Italia e alla sua connaturata voluttà di conservazione da parte di ogni corporazione. Ma è anche, purtroppo, l’illusione politica di un Renzi che ha paura di decisioni impopolari. Non è ancora riuscito a darsi la velocità giusta e misurata sulle cose da fare perché è fortemente convinto che, così come ha sbaragliato gli avversari alle elezioni, altrettanto riuscirà a sconfiggere caste, corporazioni, conservatori, privilegi, ritardi, disoccupazioni e tassazioni.

Già altri, prima di lui, hanno dimostrato due cose opposte: essere capaci di vincere e di non riuscire a governare. Questo è il vero dilemma renziano. Per vincere sei costretto a correre sorridendo e promettendo, per governare sei costretto a scegliere e a decidere. E, soprattutto, a compiere cose che non fanno più ridere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:24