Elezioni: se salta   il patto del Nazareno

Il problema non è che le Camere riunite non riescono a trovare intese per eleggere i due componenti della Corte Costituzionale e per completare il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura. A dispetto di quanti si fanno portavoce dei malumori dei consiglieri togati del Csm per il ritardo e lasciano intendere che questi ultimi non mancheranno di far pagare il comportamento del Parlamento opponendosi alla nomina di Giovanni Legnini a vice presidente dell’organo di autocontrollo della magistratura, le difficoltà nel trovare intese per le nomine fanno parte della normalità del gioco parlamentare. È la democrazia, bellezza! E non c’è assolutamente nulla da scandalizzarsi se le divergenze tra e dentro le forze politiche portano a lunghe sedute e grandi manovre nelle votazioni segrete in Parlamento.

Certo, chi vorrebbe che le nomine parlamentari negli organismi istituzionali che si occupano di giustizia fossero imposte dall’Associazione Nazionale Magistrati non può rendersi conto che il meccanismo democratico, voluto dai Padri Costituenti, funziona in questo modo. È probabile che nella Repubblica Teocratica delle Toghe, auspicata dagli ormai invecchiati sostenitori della rivoluzione giudiziaria, si preveda che al posto di questo meccanismo, così logorante e farraginoso, ci sia l’imposizione istantanea, indiscutibile ed inappellabile della Grande Toga alla guida della nazione. Ma nella Repubblica democratica esiste una Costituzione che non prevede atti autoritari ma procedure parlamentari libere. E chi si lamenta se ne deve fare una ragione.

Il vero problema, al di là di queste code di giustizialismo antidemocratico, è invece tutto politico. Perché le difficoltà che si registrano in Parlamento per l’elezione dei componenti della Corte Costituzionale e del Csm riflettono divergenze tra e dentro i partiti. In particolare il Partito Democratico e Forza Italia. E la prospettiva di andare incontro ad un autunno in cui governo, Parlamento e forze politiche dovranno affrontare questioni di fondamentale importanza per la sopravvivenza del paese senza la necessaria compattezza di idee e propositi rende assolutamente fosco il futuro a breve. Fino ad ora la stabilità è stata assicurata dal cosiddetto Patto del Nazareno, cioè dall’intesa stipulata tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi sulla necessità di non forzare mai la mano e di trovare sempre e comunque soluzioni di compromesso sulle questioni più scottanti. Il governo e la legislatura si reggono su quel Patto.

E se l’accordo s’incrina, sia il governo che la legislatura sono destinati ad essere schiacciati dal peso insostenibile dei problemi da risolvere. Se salta il Patto, in sostanza, non c’è altra strada che andare alle elezioni anticipate. Le difficoltà che il Parlamento incontra nel procedere all’elezione dei componenti della Consulta e del Csm sono la spia che il Patto è a rischio. È probabile che una preoccupazione del genere non turbi i sonni di chi nel Pd vuole silurare Luciano Violante e chi in Forza Italia non intende votare per Antonio Catricalà. Può essere che la voglia di fare un dispetto a Renzi nel Partito Democratico ed il desiderio di far sapere a Berlusconi che Fi non è più quella di una volta non vengano neppure sfiorate dalla consapevolezza che la posta in palio è la legislatura e non i nomi dei candidati cari al Premier ed al Cavaliere. Ma la realtà è questa. E non a caso Matteo Renzi ha chiesto che prima della riforma della pubblica amministrazione il Parlamento affronti e chiuda la partita della nuova legge elettorale. Non è una richiesta. È una minaccia! Che chiarisce perfettamente la portata della posta in palio!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28