Renzi e la quinta colonna giustizialista

La conversione garantista di Matteo Renzi è figlia della sua mutata condizione politica. Quando era aspirante segretario del Partito democratico e pronto a sfruttare la leadership del partito per conquistare la guida del Governo era un giustizialista convinto e non esitava a farsi sostenere dai sostenitori della rivoluzione giudiziaria vellicandone gli istinti più forcaioli. Ora che si trova a Palazzo Chigi e verifica sulla propria pelle di segretario del Pd e di Presidente del Consiglio gli effetti nefasti del predominio della magistratura, scopre che la paralisi del Paese dipende anche da questa anomalia e si converte in tutta fretta ad un garantismo simile a quello dei suoi predecessori al Governo Craxi e Berlusconi.

Naturalmente non ci si può dolere di una svolta così repentina. Al contrario, all’insegna del meglio tardi che mai, non si può non salutare con piacere e soddisfazione la folgorazione sulla strada dello stato di diritto del Premier e segretario del Pd.

Ma tanta soddisfazione non può far cancellare la consapevolezza che mettendosi sulla scia aperta da Craxi e da Berlusconi sul terreno della giustizia, Renzi deve aspettarsi di dover affrontare le stesse ostilità subite negli ultimi trent’anni dallo scomparso segretario del Psi e dal sempre presente leader del centrodestra. Nessuno prevede che la giustizia ad orologeria possa bombardare l’attuale Presidente del Consiglio così come vennero bombardati Craxi e Berlusconi. Ma il caso Emilia insegna che il meccanismo degli avvisi di garanzia diretti a condizionare le scelte politiche dei partiti continua ad essere perfettamente funzionante. La vicenda Eni così come quella di Finmeccanica confermano che le due più grandi aziende pubbliche italiane rischiano di uscire dal mercato internazionale a causa di una singolare persecuzione giudiziaria. E, soprattutto, il caso Violante dimostra che all’interno del Parlamento e del Pd esiste una “quinta colonna” giustizialista che intende sfruttare ogni occasione utile per mettere i bastoni tra le ruote al troppo disinvolto imitatore di Bettino e del Cavaliere.

I sostenitori del Presidente del Consiglio sono convinti che il premier abbia la forza necessaria per tenere a bada la quinta colonna. E lasciano intendere che qualora la resistenza delle truppe giustizialiste fosse troppo rigida Renzi potrebbe usare l’arma totale delle elezioni anticipate per fare piazza pulita dei suoi oppositori interni. L’ipotesi è fin troppo fondata. Ma non tiene conto che l’eventuale forzatura del Presidente del Consiglio nei confronti del fronte giustizialista avverrebbe a freddo, senza una preparazione adeguata a rendere indolore un cambiamento radicale della natura della sinistra post catto-comunista italiana.

Renzi può anche pensare che, avendo alle spalle il successo elettorale nelle ultime elezioni europee, la sua conversione garantista venga recepita senza grandi scossoni dal Partito Democratico. Ma la sua è una illusione pericolosa. Perché non si cancellano con qualche battuta sulle pretese corporative delle toghe anni ed anni di predicazione forcaiola che ha forgiato al giustizialismo più forsennato almeno due generazioni di militanti e simpatizzanti della sinistra.

Per rendere meno traumatica la conversione sarebbe stato necessario avviare per tempo una lunga e sofferta fase di autocritica destinata a preparare una vera e propria rivoluzione culturale. Ma niente di tutto questo si è verificato. Ed oggi la mutazione a freddo lascia prevedere che se mai Renzi dovesse forzare la mano con le elezioni anticipate potrebbe pagare il prezzo salato di una dolorosa scissione.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26