Su Matteo Renzi l’ombra di Craxi

Pierluigi Battista ricorda male. Il primo leader della sinistra che impugnò la “bandiera di un riformismo capace di sfidare i tabù ed i veti di un sindacato impermeabile alle innovazioni più radicali nel mondo del lavoro” non fu Massimo D’Alema. Quest’ultimo guidò l’Italia in guerra a fianco della Nato contro Milosevic e trasformò Palazzo Chigi in una merchant bank. Ma non portò mai a fondo i suoi ventilati e non attuati propositi riformatori.

Il leader della sinistra che per primo osò sfidare le resistenze di un sindacato conservatore e retrogrado fu Bettino Craxi, con il decreto sulla scala mobile del 1984 che portò ad un referendum promosso dai sindacati clamorosamente ed inaspettatamente vinto dall’allora segretario del Psi. Tutti ricordano, però, la sorte toccata a Craxi anche a causa di quella vittoria, che dimostrò per la prima volta come la sinistra massimalista e reazionaria non fosse imbattibile e non avesse più una egemonia intoccabile nel Paese. Il leader socialista diventò il bersaglio di una feroce campagna di demonizzazione mediatica, giudiziaria e politica durata anni ed anni, che lo costrinse a morire esule e malato in Tunisia. Quella stessa campagna che successivamente venne nuovamente usata per bloccare le spinte riformatrici del centrodestra guidato da Silvio Berlusconi e che solo pochi anni fa ha portato non solo alla caduta del Governo del leader del fronte moderato, ma ha provocato la sua espulsione dal Parlamento in seguito ad una persecuzione giudiziaria messa oggi in evidenza dalla Corte Europea.

Dimenticare questa parte di storia del nostro Paese è sbagliato. Perché lascia intendere che in Italia Matteo Renzi possa tranquillamente seguire la strada di Blair e di Schroder senza correre pericoli di sorta tranne qualche riunione di direzione un po’ tempestosa e qualche sgambetto di franchi tiratori in Parlamento. L’esperienza insegna che non è così. Blair e Schroder vennero contestati duramente dalla sinistra massimalista pronta a bollarli come thatcheriani e reaganiani. Ma non subirono la guerra senza esclusione di colpi, leciti e soprattutto proibiti, che subirono Craxi prima e Berlusconi successivamente. La grande differenza tra Gran Bretagna e Germania e l’Italia è tutta qui. Da loro i processi democratici possono essere anche durissimi, ma non subiscono interferenze tali da suscitare paragoni con i “pronunciamenti” militari di antico stampo sudamericano. Da noi l’uso politico della giustizia ha alterato e rischia di poter continuare ad alterare il libero gioco democratico a solo ed esclusivo vantaggio dei gruppi e degli interessi più conservatori e corporativi.

Se è vero che ogni Paese è il frutto della sua storia, non si può non mettere in conto che la spinta riformista di Renzi possa trovarsi di fronte gli stessi ostacoli che portarono Craxi ad Hammamet e Berlusconi a Cesano Boscone. Per questo è sbagliato indicare D’Alema come antesignano di Renzi. D’Alema sarà stato pure rottamato ma produce vino, vive bene tra i suoi risentimenti ed i suoi sarcasmi e rimane un leader riconosciuto di una parte consistente della sinistra italiana. Craxi, invece, è morto esule. E Berlusconi è uscito fisicamente indenne dal tritacarne mediatico, giudiziario e politico in cui è stato messo solo grazie ad una tempra superiore.

Questo significa che Renzi rischia? Certamente sì. Almeno fino a quando l’anomalia che provoca la distorsione autoritaria della democrazia italiana non verrà finalmente eliminata!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 16:55