Il referendum e la gioia   incompresa di Salvini

La giornata referendaria in Scozia ha visto la presenza sul campo del leader della Lega Nord, Matteo Salvini. Non si è lontani dalla verità se si definisce l’umore del politico italiano a dir poco raggiante, nonostante il “no” della maggioranza degli scozzesi all’indipendenza dal Regno Unito.

Eppure, nel nostro Paese, non sono mancati quelli che hanno voluto leggere, negli esiti referendari, una sonante sconfitta delle presunte velleità secessioniste del capo leghista. Chi ha ragione? Probabilmente, la prima Lega, quella primitiva di Bossi, affetta da infantilismo politico, sarebbe stata delusa dal risultato. Non quella “2.0”, più matura, di Salvini. Oggi, il leader leghista gioisce per due buone ragioni.

In primo luogo, ha visto affermarsi, con il riconoscimento della legittimità del referendum, un principio di metodo fondamentale. I popoli sono liberi di scegliere il proprio destino. Una leva in più, quindi, per sollevare la questione della maggiore autonomia per i territori. In secondo luogo, il fatto che gli scozzesi abbiano deciso di restare nel Regno Unito gli consente di tirare un bel sospiro di sollievo. La sua strategia non mira ad aprire la stalla per far scappare i buoi come vorrebbero, incautamente, gli indipendentisti del Veneto. Salvini ha nel mirino l’Europa dei tecnocrati e dei poteri invisibili, portati dalla mondializzazione dell’economia. Il nemico è quell’euro, considerato responsabile della crisi del nostro sistema produttivo. Le imprese italiane spirano sotto il peso di un’austerità che ha depresso la domanda interna.

Nel contempo, la forza dell’euro sui mercati valutari rispetto alle altre monete, in particolare al dollaro, rende meno competitivi i nostri prodotti rispetto alla concorrenza internazionale. Ammesso e non concesso che in Italia si possa realizzare il separatismo regionale – quello della “padania” non avrebbe senso se non in una logica federativa – Salvini sa bene che non verrebbero meno le condizioni di contesto che hanno impoverito il Paese. L’unica cosa che cambierebbe sarebbe il peso contrattuale delle tante “piccole patrie” partorite dalla frammentazione dell’unità nazionale. Oggi l’Italia, nonostante tutto, è ancora una potenza industriale, con un peso strategico non trascurabile per la sua particolare posizione geografica. Se ognuno se ne andasse per la propria strada, cosa pensate che potrebbero fare da sole un Veneto, una Lombardia o una Valle d’Aosta, oltre a essere ancor più vassalli di Bruxelles e della cancelleria tedesca? Pensate che il leader della Lega queste cose non le sappia? Come spiegare altrimenti la scelta, tutta salviniana, di fare squadra, nel Parlamento europeo, con il Front National di Marine Le Pen, che ha nel nazionalismo patriottico la sua testa d’ariete? Salvini, poi, conosce la mistica della frontiera e intende difenderla all’interno di un contesto globalizzato che ha fatto perno sulla opposta ideologia dell’annullamento di tutte le frontiere. L’attenzione prestata dal leader della Lega al dramma della popolazione siciliana, che vive sulla propria pelle il problema dell’immigrazione clandestina proveniente dal mare, è indicativa.

Tuttavia, Salvini è consapevole che, per portare avanti le sue battaglie, ha bisogno di avere dietro un Paese il quale abbia numeri consistenti. E l’Italia, pur con tutti i limiti, fa al caso suo. Lui sa che gran parte degli italiani hanno sentimenti di destra. Non si sono fatti abbindolare dalle “spacconate” di Matteo Renzi. Dall’analisi dell’ultima consultazione elettorale per le europee è emerso che il tanto sbandierato 40.8 per cento al Pd è un bluff. Una distorsione ottica. La sinistra ha tenuto i suoi voti, non ne ha presi alla destra. Se la percentuale è balzata a livelli di record è stato per effetto dell’astensione di un numero crescente di elettori. Coloro che si riconoscevano nelle motivazioni politiche e ideali del centrodestra, delusi dai troppi fallimenti della propria parte, si sono stufati e hanno preferito starsene a casa. Matteo Salvini intende parlare a tutti costoro. Per farlo, però, per aspirare a prenderne la guida è indispensabile che il giovane politico milanese faccia un salto dalle parti di Arcore. Una chiacchierata con il vecchio timoniere potrebbe spianargli la strada. Salvini ha dichiarato di essere andato in Scozia per imparare. Lodevole proposito. Continui così. Vada in Brianza dal Cavaliere. Poi ritorni al Sud, ad ascoltare le ragioni dei meridionali. Lo faccia con lo spirito giusto, lo stesso con il quale ha iniziato a risollevare la sua Lega. Vedrà che non se ne pentirà.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:20