La trave e la pagliuzza nell’occhio del Premier

Come non dar ragione al premier Matteo Renzi, ospite dell’anima bella Fabio Fazio, quando attacca il sindacato sull’articolo 18, sottolineando lo scandalo - sempre tollerato da tutti - della piena franchigia che le stesse organizzazioni dei lavoratori godono sui licenziamenti. Una stranezza che fa parte delle tante anomalie di un sistema politico-burocratico il quale, promettendo da decenni il regno della giustizia sociale, continua solo a produrre gigantesche e insanabili storture.

Tuttavia mi ostino a pensare che quando ci si trova al cospetto di una condizione generale del Paese che, al di là di annunci e proclami, sta sempre più assumendo i contorni di una disfatta senza precedenti, sarebbe augurabile tralasciare le pagliuzze dei simboli e dei princìpi, pur sacrosanti, e concentrarsi sulla trave dei grandi problemi che stanno mandando a picco l’Italia.

Ciò, ovviamente, con la consapevolezza di doverli necessariamente affrontare con misure strutturali di ampio respiro, i cui risultati tangibili si potranno cominciare a scorgere solo dopo qualche anno. Non solo. Per rimettere in carreggiata la diligenza sconquassata di uno Stato che costa un occhio della testa, soffocando ogni forma di reale sviluppo economico, occorre scontrarsi coi milioni di interessi costituiti dalla nostra cosiddetta democrazia acquisitiva. E i settori in cui la politica tradizionale teme di perdere consensi e nei quali, pertanto, si guarda bene dall’intervenire sono noti persino ai sassi: previdenza, sanità e impiego pubblico.

È infatti in questi vitali - soprattutto per chi è chiamato ad amministrare il consenso - collettori di spesa che si concentra gran parte degli oltre 800 miliardi che compongono il colossale bilancio pubblico. Eppure il Governo Renzi, al di là del triste chiacchiericcio intorno all’Araba fenice della spending review, nei fatti non ha finora elaborato neppure l’abbozzo di un piano di interventi a regime, in grado principalmente di rassicurare i mercati circa la tenuta del nostro debito pubblico, onde ridimensionare l’eccesso di uscite pubbliche che caratterizza previdenza, sanità e impiego pubblico. Eccesso di uscite pubbliche le quali, si badi bene, non sono tali sulla base di un bislacco paradigma elaborato da qualche thatcheriano uscito dalle catacombe, bensì esse sono la rappresentazione plastica di un sistema che continua ad ostinarsi a vivere ben sopra le proprie possibilità, distribuendo in grande quantità vitalizi e privilegi che la nostra disastrata economia non è più in grado di finanziare.

Questa è, ahinoi, la trave che il nostro occhio di falco al potere sembra proprio non riuscire a vedere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:27