Per Renzi i rischi arrivano adesso

Nessuno s’illuda che la battaglia all’interno del Partito Democratico si sia conclusa con il voto a larga maggioranza della direzione. Si è semplicemente inasprita. E da adesso in poi questo inasprimento si manifesterà non solo sul terreno parlamentare in cui i rapporti di forza tra Matteo Renzi ed i suoi oppositori sono diversi, ma anche e soprattutto in quei settori della società italiana che hanno formato da decenni il tradizionale blocco sociale della sinistra e che sono stati allevati non al vago riformismo del Premier ma al rigido massimalismo “luogocomunista”.

I veri ostacoli per Renzi, infatti, non vengono dal gruppo dirigente del Pd, formato da trasformisti di piccolo cabotaggio pronti ad ogni acrobazia verbale o politica pur di rimanere abbarbicati a chi detiene il potere. Vengono da una base sociale che ha alle spalle decenni e decenni di passiva adesione ad ogni forma di estremismo e di forzatura di stampo antiriformista. È difficile pensare che due generazioni di militanti e di simpatizzanti di sinistra abituati a mobilitarsi per combattere ogni tentativo di cambiamento sul terreno politico e sociale, dall’abolizione della scala mobile di Bettino Craxi alla riforma dell’articolo 18 tentata da Silvio Berlusconi, dalla riforma sulle pensioni di Dini a quella di Maroni, si siano improvvisamente volatilizzate.

È impossibile immaginare che i tre milioni di feroci avversari della riforma del lavoro portati da Cofferati al Colosseo nel 2003 si siano miracolosamente convertiti al Jobs Act renziano. Per non parlare di quelli (e non sono pochi) che da D’Antona a Biagi non hanno mai smesso di alimentare al loro interno la convinzione che chi tocca i sacrosanti diritti dei lavoratori si va a cercare da solo la giusta punizione della classe operaia.

In Italia, si sa, le conversioni di massa non sono affatto una novità. Anzi, possono essere addirittura, alla luce di quanto avvenuto negli ultimi due secoli, una specie di abitudine ricorrente. Ma non sono mai del tutto indolori. Ed è questo il vero rischio che il Paese corre nel momento in cui le forzature riformiste di Matteo Renzi impongono il classico “contrordine compagni” al blocco sociale educato al massimalismo. Un rischio aggravato da una crisi economica che aumenta i disagi, le tensioni, le preoccupazioni ed i sacrifici della stragrande maggioranza dei cittadini e che il Governo in carica non può affrontare proprio perché indebolito dalla decisione di trasformare dall’oggi al domani lo zoccolo duro della sinistra oltranzista nell’avanguardia della mutazione genetica della sinistra.

L’inasprimento della battaglia interna e il Vietnam parlamentare che il Governo dovrà affrontare a causa dello scontro insanabile tra renziani ed avversari, moltiplicano i rischi di fratture dolorose nel Paese acuite dalla crisi economica. Renzi è attrezzato per fronteggiare questi rischi? Ha dalla sua la giovinezza, la sfrontatezza ed il sostegno dei poteri forti benedetti dall’Europa che conta. Ma ha un punto debole costituito da un Governo inadeguato e da una maggioranza precaria, instabile e condizionata dall’incubo della “quinta colonna” antirenziana. Se si illude di “aver spianato” gli ostacoli rischia di trovarsi in mezzo a guai seri nei prossimi mesi. Se vuole ridurre i rischi suoi e del Paese non deve far altro che incominciare a riflettere alla sola alternativa alla guerriglia perenne in Parlamento e nel Paese che gli si prepara contro. Quella di promuovere un Governo d’emergenza fondato su una nuova grande intesa, puntando sulla conversione di massa del vecchio blocco sociale e su una scissione chiarificatrice degli irriducibili.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:20