Presidenzialismo e Costituzione materiale

Fino ad ora si è sempre parlato di una Costituzione materiale diversa da quella formale perché caratterizzata dall’assunzione senza, alcuna codificazione, di un ruolo prettamente politico da parte del Presidente della Repubblica. Da adesso in poi bisognerà incominciare a riflettere sulla circostanza che la Costituzione materiale si discosta sempre di più da quella realizzata dai Padri Costituenti non solo per il ruolo politico del Quirinale ma anche per la strapotere di Palazzo Chigi sul Parlamento.

Questa novità consente di rilevare come il sistema politico italiano sia segnato da una sorta di doppio presidenzialismo, quello del Capo dello Stato che si esercita attraverso il controllo minuzioso dell’attività legislativa promossa dal governo e quella del Capo del governo stesso che si manifesta attraverso il progressivo esautoramento ( non solo con i decreti legge ma anche con le leggi delega) della tradizionale attività parlamentare e con l’adozione di uno stile di governo cesaristico volto alla ricerca costante di un consenso di stampo plebiscitario.

Questa innovazione nella Costituzione , quella del doppio presidenzialismo materiale, si è verificata con l’avvento di Matteo Renzi alla guida del governo nazionale. Durante gli anni dei governi Berlusconi si è sancita l’affermazione del presidenzialismo del Quirinale, realizzato proprio con la motivazione non dichiarata della necessità di tenere entro i confini costituzionali la presunta deriva cesaristica del leader del centro destra (una deriva che non si è mai manifestata realmente vista la moltitudine di paletti posti da alleati e poteri forti all’attività del Cavaliere). Da quando Renzi ha fatto irruzione a Palazzo Chigi, la linea di subordinazione del governo al Quirinale che era stata confermata con i governi di Mario Monti ed Enrico Letta si è interrotta ed il nuovo Premier, d’intesa con Giorgio Napolitano, ha inaugurato una nuova linea fondata sul predominio assoluto dell’esecutivo sul Parlamento e sul rapporto plebiscitario del Capo del Governo con l’opinione pubblica nazionale. Ci si può stupire e scandalizzare per questo doppio presidenzialismo. E concludere che il fenomeno è il frutto del declino dei partiti tradizionali. Ma stracciarsi le vesti per la Costituzione formale tradita non serve a nulla. Serve, piuttosto, capire quali possano essere le conseguenze di un simile stato di fatto e regolarsi di conseguenza.

La principale, ed anche quella dagli effetti più immediati, è che la linea plebiscitaria del Capo del Governo è destinata a ridimensionare progressivamente il presidenzialismo del capo dello Stato. Non fosse altro perché il mandato di Giorgio Napolitano non è eterno (per sua stessa ammissione) e la scelta del suo successore passa attraverso il potere decisionale di Renzi. Ma accanto al progressivo ridimensionamento del Quirinale a vantaggio di Palazzo Chigi la linea plebiscitaria del Capo del Governo comporta automaticamente la necessità di legittimazione popolare continua. O, almeno, di una legittimazione popolare talmente forte da consentire all’uomo solo al comando di rendere solido il proprio regime e restare al potere senza problemi per un lungo periodo di tempo.

Renzi non ha questa legittimazione popolare. Il voto europeo ha reso evidente la sua vocazione plebiscitaria ma non gli ha consentito di dare basi solide al proprio regime personalistico. Il Premier ha dunque bisogno di una nuova e vera legittimazione. Ed è facile pronosticare, come la legge di stabilità di stampo elettoralistico preannuncia, che cercherà di averla al più presto. Con le elezioni anticipate.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28