Bettino Craxi: una voce  lontana, eppure vicina

"Cos'è il potere?", chiese Enzo Biagi a Bettino Craxi, a bruciapelo. E lui, pacato ma risolutivo: "E' la libertà di decidere". Ricordo questo inciso anche per ragioni diciamo così "intime" dovute a discussioni fra di noi a proposito di giornali e giornalisti - e Biagi, non a caso - la cui idiosincrasia craxiana non era comunque a senso unico, diciamo che era selettiva. Quella volta, quella domanda e quella risposta, andavano in una direzione per dir così emblematica, come un logo, una sigla, un marchio di un'intera proposizione politica nuova. E attuale, molto attuale.

Che ne direbbe, per esempio, Matteo Renzi? Potere e decisione, governo e libertà, decisionismo e governance sullo sfondo un'Europa matrigna, sono i temi intorno ai quali si avvolgono le discussioni, oggi,come ieri, come ai tempi di Craxi. E di Renzi. In parte, di Berlusconi. Due libri appena usciti ci aiutano a percorrere una traiettoria fondamentale nel percorso della storia italiana di cui la vicenda di Craxi, al di là della damnatio memoriae che sembra ora diradarsi, parla a noi del presente come una voce ricca di lezioni, di riflessioni se di premonizioni. "Io parlo e continuerò a parlare" (ed. Mondadori) a cura di un attento Andrea Spiri, è una di queste voci. E', forse, un'eco di una impostazione politica che il bel libro evidenzia a cominciare dalla ingiustizia somma che lasciò morire in esilio un leader fra i più importanti del nostro tempo, una persecuzione vera e propria che lo stesso Craxi, un fax dopo l'altro, una telefonata dopo l'altra, una intevista (difficile e rara) dopo l'altra, cercò di smontare con repliche sdegnate eppure puntuali, usque ad terminem, alla fine.

Siglata da una decisione che fu sua e soltanto sua, nonostante suppliche e preghiere: quella di rimanere in un Paese amico, di essere sepolto in una piccola tomba ad Hammamet con una lapide memorabile: "La mia libertà equivale alla mia vita". Una decisione in limine mortis, staremmo per dire, seguita dalla italica ipocrisia di quegli stessi governanti che ignorarono lo statista da vivo, offrendogli, da morto, un funerale di Stato. Respinto giustamente al mittente dalla famglia. Ma non c'è soltanto questo lato giustiziario-giustizialista-mediatico - ne parlò fin d'allora in un suo testo fondamentale il nostro Arturo Diaconale - chè la storia del Craxi politico e governante ripreso e rilanciato dai suoi scritti dall'esilio, emerge quasi con prepotenza, come un fiotto di geiger sollecitato, anche, dalla svolta in atto renziana nella quale la parola decisionismo pare come risorgere in un aggiornamento che tocca sia i partiti, sia, ovviamente, il Governo.

Giacché il "decidere la governabilità", il "riformismo istituzionale" erano intesi da Craxi in un contesto lontano, diverso, difficilissimo rispetto all'attuale. Quando la parola stessa riformismo era da eretici, quando proporre l'elezione diretta del segretario del partito e, addirittura, del Paese, erano un delitto di lesa Costituzione, e l'elaborazione di un socialismo liberale che decidesse la modernizzazione italiana era un sogno maligno rispetto all'egemonismo cultural-politico di un berlinguerismo ancora elogiativo, negli anni Ottanta, del marxismo-leninismo in piena, evidente estinzione. Perché la voce di Craxi "parla e continuerà a parlare" da un esilio che evoca quello di un risorto Jacopo Ortis, sdegnato per le sorti di una politica che si perde fra giacobinismo d'accatto e scontri all'arma bianca fra poli che si delegittimano reciprocamente dimenticando la loro missione, soprattutto quella dell'Europa?

L'Europa diventa per il Craxi che pure nell''85, insieme a Mitterrand, Kohl e Thatcher ne aveva posto i fondamentali in vista di Maastricht, il termine di un paragone fra l'allora e la fine dei Novanta, ai tempi di Prodi and company, che non lascia scampo alle facilonerie degli "europeisti purosangue" tanto entusiasti per l'arrivo della moneta unica, quanto incapaci di valutarne appieno le problematiche. Per loro "entrare in Europa è diventato un mito, un miraggio, una favola incantata. Tutti ne parlano e nessuno dice esattamente di cosa si tratta. Nessun dibattito serio, nessuna valutazione realistica di come stanno le cose e, soprattutto, di come staranno se si continuerà in questa forzatura fatta appunto di camicie di forza per giungere alla unità monetaria... In realtà - continua Craxi - ciò che si profila ormai è un'Europa in preda alla disoccupazione ed alla conflittualità sociale a causa di un progetto che ha tralignato dai suoi presupposti, senza alcuna corrispondenza alla concreta realtà di economie e di equilibri sociali non facilmente calpestabili... I parametri di Maastricht non si compongono di regole divine. Non stanno scritti nella Bibbia. Non sono un'appendice dei dieci comadamenti... Tutto è cambito e tutto cambia, la realtà si modifica, la situazione odierna è diversa da quella sperata". Craxi dixit.

Profetico? Premonitore? Certamente, un leader la cui lezione è attualissima, vero Matteo Renzi, che pure il nome di Bettino trattieni e taciti, forse per temute reazioni certamente in una freudiana rimozione? Un nome che invece ritorna nell'ottimo libro "Decisione e processo politico" (ed. Marsilio), a cura di Gennaro Acquaviva e Luigi Covatta con prefazione di Piero Craveri. Il sottotitolo, "La lezione del governo Craxi", parla da solo di un percorso che sia Acquaviva che Covatta hanno condiviso con passione e con lucidità, contribuendone al successo da par loro, chè Covatta resta l'indimentico intellettuale al fianco di Martelli nel memorabile e attualissimo "Meriti e bisogni", oltre che in ben altre iniziative; mentre Acquaviva, l'ombra attiva del Concordato del 1984, ha vissuto dall'interno la "epopea governativa" di quei mille giorni in cui il termine "decisionismo" si esplicò e si affermò fra le difficoltà del Paese, l'allenanza conflittuale con la Dc di De Mita, e le implacabili, quanto perdenti, opposizioni di un Pci rifugiatosi in uno sterile antagonismo, un mix di moralismo d'accatto e di incapacità di troncare con la casa madre in agonia. Il libro si giova di molti apporti, da Amato a Cacciari, da De Rita a De Michelis. Quest'ultimo, allora ministro del Lavoro, si dilunga con lucidi ricordi e aggiunte preziose, sul famoso decreto di San Valentino, che salvò/annullò l'inflazione e rilanciò economia e lavoro, illuminandone il percorso a ostacoli, le iniziali incertezze di Bettino e gli impulsi determinanti del suo ministro, le contrarietà dei big politici e industriali. Ne esce una narrazione in cui il decisionismo craxiano viene declinato con un controcanto di riflessioni e di pause che integrano la complessità di una figura di leader che resta, appunto, una voce così lontana e così vicina al nostro tempo.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21