Gli errori fatali del Governo Renzi

In tema di legge di stabilità, o legge elettorale che dir si voglia – come ha molto correttamente sottolineato Arturo Diaconale – occorre dire che ci troviamo ancora al livello di bozza. Il “topolino” che verrà partorito dalla montagna parlamentare dei sacerdoti del deficit spending è ancora tutto in divenire.

Tuttavia, di fronte alla lunga elencazione di provvedimenti prospettatati dall’Esecutivo dei miracoli, possiamo senz’altro notare ancora una volta, così come è accaduto con tutti i Governi degli ultimi vent’anni, la presenza di un fatale errore di impostazione: un ulteriore aumento della tassazione più o meno occulta.

Solo che questa volta, al pari di ciò che lo stesso Governo ha realizzato all’inizio della sua investitura, l’inasprimento sostanziale della fiscalità viene mimetizzato ad arte all’interno di un impianto pieno di belle intenzioni e di partite di giro camuffate da riforme epocali.

Nei fatti vengono messe le mani sulle pensioni integrative, portando la tassazione dall’11,5% al 20%, sulle liquidazioni – colpendo chi decida di aderire al ritiro anticipato del Tfr con una aliquota marginale molto più alta – e addirittura sulle vincite delle slot machine, da cui la manovra renziana conta di ottenere ben un miliardo di euro.

Ma non basta, il tanto decantato deficit di 11 miliardi messo a copertura della stessa manovra andrà inevitabilmente ad aumentare il nostro già colossale debito pubblico, traducendosi quindi in una crescita della fiscalità futura. Stesso discorso per la decontribuzione per tre anni dei nuovi assunti, i cui mancati versamenti verranno coperti dallo Stato virtualmente, dunque dal contribuente degli anni prossimi concretamente.

Mentre invece un quasi certo inasprimento nell’immediato delle tasse locali si determinerà allorché comuni, regioni e province si troveranno di fronte allo scaricabarile di oltre 6 miliardi di tagli alla spesa predisposto ai loro danni. Infine, pure i 3,8 miliardi previsti dal contrasto all’evasione fiscale, ammesso e non concesso che vengano poi raggranellati, vanno inquadrati in una forma di ulteriore crescita delle entrate dello Stato, facendo perciò lievitare la già insostenibile quota di risorse direttamente controllate dalla mano pubblica, ovvero dalla politica.

D’altro canto, se non si decide, per ovvie ragioni di consenso, di percorrere la via maestra di una impopolare ma necessaria riduzione delle prestazioni offerte coercitivamente dal sistema pubblico, abbattendo in questo modo i costi proibitivi di quello che Oscar Giannino chiama Stato ladro, l’unica opzione che resta a qualsiasi Esecutivo è quella di aumentare il prelievo tributario allargato, avvicinando inevitabilmente il momento delle redde rationem. Ed è esattamente ciò che sta facendo la compagine di rottamatori condotti da un premier di belle speranze.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21