Renzi-D’Urso in tivù:   va di scena il “tu”

Io, anzi no, “tu”. E così anche nel più procace dei salotti televisivi generalisti italiani il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, con l’ammiccante e prona complicità di Barbara D’Urso ha mosso un ulteriore, agile, passo nell’irritualità che contrassegna il suo marketing politico. Renzi mediaticamente procede ormai ovunque in totale sicurezza, consapevole di poter sempre contare su un rinvio che lo tiene saldo alla parete negli ultimi passaggi che crede lo separino ancora pochi centimetri dalla vetta del plebiscito e della totale e definitiva narcosi dell’elettorato.

Quel “tu” più volte ostentatamente pronunciato domenica scorsa dalla D’Urso ed entusiasticamente ricambiato nel corso di un’intervista tanto scadente e stucchevole e ben oltre la finzione, quanto ammiccante, a suon di gridolini, ad un pubblico nazional popolare, deve aver rappresentato nella mente del presidente del Consiglio l’ultimissimo appiglio, l’estremo controrituale, che lo consacrerà definitivamente come icona pop della televisione in un momento storico in cui l’Italia sembra molto più incline a subire una pervasiva fascinazione per il battutista pronto e sagace vicino alla gente che non a focalizzare che le dichiarazioni di chi ricopre la carica di premier richiederebbero riscontri reali sul piano del programma di governo e delle scarsissime (e finte) riforme in corso.

Perché passi pure per l’occupazione scientifica dei palinsesti televisivi che da mesi Renzi sta invadendo softly ma quel “Tette a Tu” che si è costruito domenica scorsa tra i due rappresenta davvero il confine oltre il quale l’incapacità di un Presidente del Consiglio di tener la briglia alla sua ingordigia di visibilità mediatica può improvvisamente ridestare un elettorato non più disposto ad abbeverarsi di indecenti fandonie, seppur il premier sia convinto di raccontarle in modo magistrale e che il ripeterle allo sfinimento le renda più credibili.

Cerchiamo di capirci, non entra in gioco alcun moralismo o snobismo di sorta, come ritengono con sicumera gli addetti al cerchiobottismo riflessivo in servizio permanente manifestando disapprovazione nei confronti di chi, tapino, non capisce quanto le scelte nazional popolari di Renzi lo collochino molto più vicino all’Italia della d’Urso e a chi di conseguenza userà il voto come surrogato di contiguità ad un bell’autografo che non alla minoranza ancora vigile del paese. Né è in discussione la capacità di calamitare milioni di telespettatori, la D’Urso ogni domenica, Renzi con apparizioni che hanno contribuito a farsi liberamente votare dal 41% degli italiani che si sono recati alle urne.

Oltretutto con l’assist di un’opposizione compiacente o nel migliore dei casi timidissima sia sul piano politico che su quello mediatico. Più semplicemente, sul lungo periodo ma probabilmente anche sul medio, l’elettorato potrebbe svegliarsi dalla sbornia renziana e guardare con sguardo lucido e impietoso questa inflessibile adozione di un registro ostentatamente fobico per i cerimoniali, il tenore da pantomima, diciamolo pure da cazzaro che adotta lo stravaccamento a modello esistenziale e stravaccato si fa volentieri ritrarre appena le circostanze glielo consentono e lo sbalorditivo e obiettivamente anomalo protagonismo di un premier che riconduce a sé, al suo nome qualsiasi pseudo riforma o provvedimento di sorta, in una sorta di iperbole rottamatrice che ha investito anche i suoi stessi ministri competenti nei diversi settori, “riformati”.

Chissà se terrà ancora a lungo il clima da standing ovation che gli tributa sia il vastissimo pubblico assuefatto alla supremazia dell'ospite televisivo glamour che impenna gli ascolti sia la foltissima schiera di conformisti generazionalmente intruppati che con sguardo miope identificano l'impegno per il cambiamento e per le riforme con una livorosa lotta d’età troppo spesso intellettualmente disonestissima e per i quali il riscontro dei risultati sul piano della “vita activa” è l'ultimo dei fattori e il dato anagrafico il primo attraverso cui etichettare l'operato di chiunque nell’attività politica del Paese.

È perfettamente nelle cose che Renzi, andando a darsi del tu dalla D’Urso, preferisca arruffianarsi il target più manipolabile e indifeso cui seguitar a raccontar fandonie, ripetute spessissimo e ossessivamente in modo indirettamente proporzionale al riscontro dei fatti: dal fasullo processo riformatore che ha interessato Senato e Province alle misure per arginare la spesa pubblica ai tagli di 11 miliardi semplicemente spostati e scaricati sulle regioni che finiranno per aumentare le tasse di loro competenza.

Ma la verità poi ha una sua forza autonoma, come dimostrano le incontenibili ammissioni di ieri del ministro Pier Carlo Padoan e del consigliere economico di palazzo Chigi Yoram Gutgeld sulla necessità di un aggravio fiscale in caso di mancanza di copertura per gli altri 25 miliardi come prevede la “Clausola di salvaguardia”. Ecco, potrebbe capitare che nel paese soffi un venticello in controtendenza, perché il “tu” forzato, proprio perché così colloquiale, pubblicitario, intimo, populista, evoca quel rapporto diretto tra capo e folla semplificato nella formuletta: “Duce sei tutti noi”. Ma non l’abbiamo già sperimentato?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21