Il caso Renato Farina   e la sorte dell’Ordine

Il caso Renato Farina riapre il problema di chi sia legittimato a far parte dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti italiani. Perché, di fronte alla riammissione nell’Ordine del giornalista condannato ad una sospensione di cinque anni per essere stato al libro paga del Sismi, cioè dell’organismo dei servizi segreti militari, il consigliere dell’Ordine Nazionale, Carlo Bonini, ha rassegnato le dimissioni in segno di protesta. E l’assemblea de “La Repubblica” ha votato all’unanimità un documento di condanna della riammissione di Farina e di richiesta di una revisione della legge istitutrice dell’organismo a cui è demandato il compito di garantire la professionalità e la deontologia dei giornalisti.

Si tratta di una questione interna che va affrontata e risolta dentro le sole redazioni dei giornali e degli organismi di rappresentanza della categoria? Nient’affatto. Si tratta di una questione di importanza generale. Che investe non solo il diritto e la libertà d’informazione, ma anche il diritto dei cittadini ad essere informati in maniera corretta e trasparente.

Per la verità, una parte del problema è già stata di fatto risolta dalla tecnologia e dell’avvento della Rete. Ormai non esiste più solo l’informazione verticale che passa dalle fonti ai cittadini attraverso la mediazione indispensabile dei giornalisti titolati a svolgere questa funzione da un Ordine per definizione chiuso, ristretto e dall’accesso limitato. Accanto a questo tipo di informazione tradizionale esiste un’informazione orizzontale a cui può accedere liberamente qualunque individuo in grado di navigare sul web senza limitazioni di sorta. Ma anche se il problema di chi possa e debba far parte dell’Ordine appare decisamente ridimensionato, continua ad essere un problema generale. Perché, proprio a causa del progressivo ridimensionamento dell’informazione professionale rispetto a quella libera da qualsiasi vincolo di competenza e di rispetto dei valori deontologici, l’interesse ed il diritto dei cittadini a poter usufruire di un’informazione “alta”, corretta, trasparente ed affidabile sono, paradossalmente, addirittura aumentati. E allora qual è il criterio di base che va rispettato per poter entrare a far parte e continuare a rimanere nell’Ordine dei giornalisti? È quello dell’adempimento formale delle regole fissate dalla legge istitutrice (praticantato, esami, rispetto della deontologia e delle decisioni degli organi di rappresentanza)? O è quello etico che impone una selezione non formale ma etica dei titolari dell’“informazione alta”?

Farina è stato prima condannato e poi, scontata la pena, riammesso all’Ordine in nome delle norme della legge istitutrice. Ma la sua riammissione viene contestata in nome di un’etica e di una morale che impediscono a Bonini, ai giornalisti de “La Repubblica” ed ai tanti che la pensano come loro di poter convivere all’interno dell’Ordine con chi, pur avendo scontato la pena, si sia macchiato di reati o abbia infranto le regole della deontologia professionale.

Il primo criterio suscita inquietudine, ma garantisce certezze. Il secondo elimina le certezze e produce livelli d’inquietudine diversi a seconda delle sensibilità morale del momento. Nessuno discute, infatti, che si possa avere una forte inquietudine di natura etica e morale per un giornalista a libro paga dei servizi segreti italiani. L’esperienza insegna che quando si parla di informazione e servizi l’etica e la moralità subiscono sobbalzi. Ma se la sensibilità dovesse cambiare e stabilire, ad esempio, che ad essere esclusi dall’Ordine dovrebbero essere non solo i giornalisti pagati dai servizi italiani ma anche quelli che sono stati e magari sono ancora al soldo dei servizi stranieri? E se questa sensibilità dovesse estendersi e toccare altri settori? Come conciliare con l’etica e la morale la presenza nell’Ordine di giornalisti che nei rispettivi giornali editi da banche e grandi aziende producono abitualmente un’informazione al servizio degli interessi dei propri datori di lavoro?

E che dire, sempre per fare un altro esempio, di quei giornalisti che sfruttano i rapporti privilegiati con le Procure per fare carriera, trasformandosi di fatto negli addetti stampa dei procuratori e dei pubblici ministeri amici? E forse più etico e morale essere al servizio dei magistrati, dei banchieri e degli amministratori delegati delle grandi aziende piuttosto che dei servizi segreti? Dare una risposta a simili quesiti è complicato. Ma una risposta generale ed esaustiva esiste. Prima che la discussione tra criterio formale e criterio morale azzeri l’ultimo residuo di credibilità e di autorevolezza dell’Ordine dei giornalisti, si risolva il problema abolendo l’Ordine e rimettendosi al libero giudizio dei cittadini.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:19