Il potere del medium,   il corpo del re Giorgio

La prende molto alla larga il coltissimo e abbacinante giurista Franco Cordero (“La Repubblica” dell’altro giorno) a proposito dell’inquilino del Quirinale che, per comodità destrutturante (Derrida è vivo e lotta per noi!), viene omaggiato dal titolo di re Giorgio.

Cordero, fra i più illustri e taglienti esperti di giustizia, avvia il suo lungo iter di regnanti dai Tudor, Plantageneti, Stuart e Francesi, segnati da Dio del dono della taumaturgia che, come si sa, guarisce là dove non giungeva (e non giunge) la medicina. Donde la sacralità del monarca, la sua elevazione in un cielo salvifico, estraneo alla mondanità quand’essa si manifesti in tentativi di avvicinarlo, di sfiorarlo. Figuriamoci di giudicarlo.

Il corpo santo regale diventa così il simbolo di una “union sacreè” fra Dio e Popolo, la cui intangibilità va oltre le leggi di gravità e, dunque, le leggi “tout court”. Finché le rivoluzioni, le evoluzioni sociali, le costituzioni - soprattutto la nostra - introducono concetti che un Plantageneto o uno Stuart qualsiasi ne avrebbe destinato al patibolo i proponenti, accusati di violazione del sacro, di rivolta alla legge di Dio. La legge ha imposto definitivamente il suo “potere” stabilendo l’uguaglianza di tutti nei suoi confronti, salvo le guarentigie che la stessa Costituzione affida a figure istituzionali, in primis il Presidente della Repubblica. Il quale, mettiamo il caso di Giorgio Napolitano, è coinvolto suo malgrado nella mitica trattativa Stato-mafia, della quale peraltro non possiamo e non vogliamo occuparci perché distratti da qualcosa che la trascende, la ingloba, la sussume, al di là della stessa sacralità della legge e dei re Giorgio. E che si chiama medium, televisione, di cui la famosa o famigerata trattativa s’è valsa, do you remember Vito Ciancimino? La televisione è il nostro giocattolo quotidiano, il mio assillo, la mia dolce persecuzione. Entra in me, in tutti noi, ingolfandoci ora dopo ora di tracimanti contenuti, di forme strabilianti. E di corpi. Sono i corpi, le facce, le immagini, i profili delle persone/corpi che fanno di noi i cannibali moderni divoratori dell’altra legge, del medium, sia pure assorbita dalle nostre stremate visioni. Ecco ciò che unisce il corpo santo di re Giorgio con la legge così ben storicamente e accademicamente evocata da Cordero, che in suo nome vorrebbe fare con quel corpo dissacrato l’esempio, il simbolo della Dea Uguaglianza davanti cui inchinarsi, comprese le garanzie costituzionali, “ça va sans dire”.

Sembra facile, sembra addirittura ovvio che accada giacché la Dea in questione è una legge “in re ipsa”, si giustifica da sé da sempre? No. Povera Dea, se non s’è accorta che un’altra legge, un’altra norma, un’altra sacralità l’ha scavalcata abbagliandola coi suoi riflettori, avvolgendola nella luce sfavillante del set celeste, seducendola con le arti insuperabili dei pixel e con le sottili, infallibili droghe della visibilità “hic et ubique”, la benedizione “urbi et orbi” del medium. S’è inginocchiata fin troppo la “Polis”, in questi vent’anni. E anche il Corpo Santo si prostra piegandosi alla potenza di simile benedizione. Ma è proprio perché deve prostrarsi a tale immane e immanente neopotere che può far valere le sue guarentigie che comprendono, naturalmente, quella suprema di garante della Nazione, dello Stato, della sua unità, della sua rappresentanza di valori comuni, di lotte, di solidarietà che l’hanno costruita nei secoli, l’hanno strutturata come una torre a difesa dagli attacchi del male, che proprio quella torre intende “destrutturare”.

Nel nostro caso, nel caso di Giorgio Napolitano, la “torre” in questione, il male è la mafia che è, per l’appunto, l’antagonista di quello Stato che re Giorgio, il suo corpo, impersona. Il male, si sa, non obbedisce a nessuna legge, non riconosce né Stuart né Plantageneti, né Savoia, figuriamoci, poi, Presidente della Repubblica. Il male ha anzi imparato la lezione della “legge del medium” al punto tale da servirsene appena se ne offra l’occasione processuale, il comma normativo, l’articolo dei codici che le consentano non soltanto la visibilità del proprio corpo ma, soprattutto, del corpo del re. Eccoci al corpo santo. Che dovrebbe essere livellato dalla Dea soprannominata all’altezza del male, da pari a pari, face to face. Si pone il problema del tabù, di questa persona/corpo, se sia un tabù superabile o meno. In realtà, il problema non è più o solo giuridico come vorrebbe l’eminente personaggio Repubblica. Semmai si dovrebbe parlare dell’opportunità dell’evoluzione della mitica vicenda processuale che già dall’inchiesta ha avuto nelle vele il potente soffio del medium invero abusato suoi diversi protagonisti.

Ciò che sfugge anche ai rigoristi dell’uguaglianza senza se e senza ma, è proprio il “se e il ma” della potenza stravolgente della tv quando finisca al servizio del male. Re Giorgio interrogato al Quirinale da un pubblico ministero o da un avvocato è un conto. Ma quello di Totò Riina, è un altro. Ben altro. E ben oltre. Il corpo santo del re e quello santificato dal medium del capo dei capi in un faccia a faccia dalla potenza distruttiva inimmaginabile. La decisione della Corte palermitana ha seguito l’unico filo conduttore nel groviglio labirintico dei codici, delle garanzie processuali. Perché il problema è politico.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:25