Semestre italiano Ue,   un’occasione mancata

C’è qualcuno che ricorda ancora il semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea? Nelle settimane che hanno preceduto il primo luglio 2014 era stato annunciato ai quattro venti che il Governo guidato da Matteo Renzi avrebbe colto l’occasione offerta all’Italia di succedere alla Grecia nella presidenza semestrale del Consiglio d’Europa per compiere incredibili meraviglie. Prima fra tutte l’impresa di convincere i Paesi del Vecchio Continente, tenacemente attestati sulla linea del rigore e dell’austerità, a convertirsi alla crescita, allo sviluppo ed alla ripresa attraverso l’adozione di politiche economiche espansive.

A due mesi dalla scadenza del semestre italiano di presidenza, cioè ad oltre metà del mandato, si può tranquillamente rilevare che nessuna delle meraviglie preannunciate è stata realizzata. Tanto meno la principale della conversione del blocco dei paesi nordici capitanato dalla Germania alla linea dell’allargamento della spesa pubblica per rilanciare l’economia ed uscire dalla crisi. A che è servita, allora, la presidenza italiana del Consiglio d’Europa? L’unico risultato concreto è stata la nomina di Federica Mogherini ad Alta Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica della Sicurezza.

Ma, poiché l’esperienza dei predecessori all’incarico di ministro degli Esteri dell’Ue insegna che quel ruolo non conta e non pesa nulla, si può tranquillamente concludere che, con tutto il rispetto per la Mogherini, l’unico risultato concreto del semestre italiano ha un valore decisamente modesto. La Presidenza italiana della Ue si è dunque risolta in un nulla di fatto? In concreto è così. Anche se un risultato l’ha ottenuto. Ha offerto a Renzi una ribalta internazionale per accreditarsi non come il Premier di un Paese teso a risolvere i propri problemi per uscire dalla crisi, ma come il giovane e dinamico capo del Governo di un Paese che fa fatica a seguire il passo innovatore della sua guida.

Insomma, il semestre è servito all’immagine di Renzi ma non è servito affatto all’Italia. Che, anzi, si ritrova oggi con il volto più ammaccato di prima a causa della sua fin troppo dichiarata (da parte del Premier) inadeguatezza ad adattarsi alla spinta riformatrice del suo inesausto demiurgo.

Si dirà che non è colpa di Renzi se la lentezza del Paese evidenzia a livello internazionale la sua personale voglia di correre. Più il gruppo arranca, più l’uomo solo al comando rifulge. Ma la metafora ciclistica non costituisce una grande consolazione rispetto all’amara costatazione che il semestre è servito solo alle fortune individuali del Premier. E, anzi, costringe anche a considerare non solo che l’eccesso di superomismo del Premier contrapposto all’inerzia della penisola danneggia il Paese, ma che alla lunga anche il superomismo fatto di sola immagine e di scarsi risultati risulta dannoso per lo stesso superuomo.

Oggi l’Europa giudica Renzi non per le sue promesse mirabolanti ma per aver realizzato una legge di stabilità che porta il deficit di bilancio al 2,9 per cento, cioè ad un soffio dallo sforamento. E non lo giudica scisso dal Paese che rappresenta, ma come espressione esatta di un’Italia che badando troppo all’apparenza e poco alla sostanza continua a non essere affidabile.

Non si può pretendere, ovviamente, che Renzi cambi la propria personalità ed il proprio modo di affrontare le questioni politiche. Ma non si può neppure accettare passivamente che continui a vendere fumo per eccesso di egocentrismo. Più concretezza, più serietà!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:23