Renzi, l’Europa e lo   stereotipo Arlecchino

Si può fare come la Francia e dire che in nome della propria sovranità nazionale la politica di bilancio la fa Parigi e non la può fare Bruxelles. Si può fare come si sono comportati Mario Monti ed Enrico Letta e stabilire che la politica di bilancio italiana coincide con i “compiti a casa” impartiti dai “maestri” dell’Unione Europea. Ma non si può affermare che si vogliono rispettare tutti gli impegni assunti con Bruxelles rinunciando ad una parte della propria sovranità in nome dei superiori valori europei e poi fare solo i “compiti” che servono a mantenere il consenso interno in vista di un possibile sbocco verso le elezioni anticipate.

Matteo Renzi ha deciso di seguire la terza via. Che non ha nulla a che spartire con l’alternativa tra capitalismo e comunismo, ma è solo un tentativo furbesco di sfruttare il passaggio di testimone tra Barroso e Juncker per realizzare una manovra elettoralistica non in linea con gli impegni europei e pretendere di rivendicare di non aver infranto in alcun modo gli stessi impegni.

Renzi pensa che accendendo la polemica con Barroso, il quale esce di scena senza lasciare rimpianti di sorta, sia più facile avere dal suo successore il via libera ad una manovra che di espansivo ha solo l’obiettivo di allargare il proprio consenso interno. Ma rischia non solo e non tanto di compromettere la propria immagine a livello europeo di leader giovane, dinamico ed innovatore, quanto di far riscattare ai danni dell’Italia il solito stereotipo negativo del Paese inaffidabile destinato ad interpretare sempre e comunque il ruolo segnato dal destino di Arlecchino, servo di due padroni. Cioè del Paese che non ha la forza e la dignità di rivendicare il diritto a salvare se stesso dal gorgo di una recessione che rischia di ucciderlo, ma che tenta di farlo ugualmente fingendo di continuare a rispettare senza deroghe ed infrazioni di sorta gli impegni assunti con il “padrone” europeo.

Il rischio che contro Renzi e l’Italia riscatti lo stereotipo dell’Arlecchino è grave. E non serve a nulla cercare di esorcizzarlo sostenendo che in fondo Renzi farebbe ripartire a livello europeo gli stereotipi negativi esistenti durante gli anni del governo Berlusconi. Perché la natura dei pregiudizi è diversa. I risolini di Sarkozy e della Merkel tendevano a ridicolizzare un Cavaliere che aveva la colpa grave di giocare partite autonome (con la Libia di Gheddafi, con la Russia di Putin) senza avere alle spalle un Paese all’altezza di tanta autonomia. L’irritazione di Bruxelles rischia di far ripiombare l’Italia alla condizione dei secoli bui che precedettero l’unità nazionale ed in cui il nostro Paese nelle Cancellerie europee era considerato solo ed esclusivamente come un servo inaffidabile.

Renzi sostiene che la questione ruoti interamente attorno ad uno o due miliardi. E che, quindi, possa essere risolta con poca spesa e senza tanti drammi. Ma, come ormai troppo spesso gli capita, manifesta una superficialità imbarazzante. Se fosse come dice non ci sarebbe stato bisogno di accendere la polemica all’insegna della trasparenza (in diplomazia?) contro Barroso. Bastava tirare fuori gli spiccioli e tutto era risolto. Ma la questione non si risolve con un miliardo in più o in meno. Riguarda la posizione che l’Italia intende mantenere all’interno dell’Unione Europea. Una posizione da partner affidabile o da servitore imbroglione? Da De Gasperi o da Arlecchino?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:25