Una risposta fusionista  a Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi non se ne abbia a male se questa volta, la prima in molti anni, facciamo fatica a credergli. Nella sua intervista a “Il Foglio” di ieri parla con tranquillità del rischio di ritornare “traumaticamente e irresponsabilmente” a votare: sono gli esatti presupposti su cui si è frantumato il Popolo della Libertà, quel movimento fondato con l’intento di fare a (centro)destra quel che oggi Renzi sta facendo a sinistra e naufragato perché, un bel giorno, sembrava non esserci accordo tra chi diceva quel che dice Berlusconi oggi e chi invece sosteneva il contrario.

È un fatto paradigmatico perché racconta bene di come il centrodestra non abbia uno straccio di idea: dice oggi il contrario di quel che ha sostenuto ieri e domani è pronto a smentire il passato recente e remoto. Da quando il blocco moderato si è auto-estromesso dal Governo del Paese, favorendo il golpe europeo con un misto di immobilismo e cialtroneria, la parte politica in cui ci riconosciamo ha avuto un’unica imbarazzante stella polare: l’umore di Berlusconi e della sua corte.

Così non va, non va proprio per niente: e non perché ci siamo imborghesiti o abbiamo cambiato idea, ma perché Forza Italia e quel che resta della Casa delle Libertà hanno tradito il popolo del centrodestra italiano a colpi di giravolte, di pantomime, di primarie convocate e mai celebrate, di battaglie culturali mai intraprese, di fastidio per il dibattito e per il dissenso. In poche parole: una totale assenza di politica.

La questione non sono i diritti civili o lo ius soli, quanto più le modalità con cui si arriva a stabilire la linea di chi dovrebbe ambire a riconquistare la maggioranza degli italiani: può bastare un selfie con Luxuria e una partecipazione al Gay Village della first sciura per cancellare di colpo anni di ragionamenti sul tema? Non illudiamoci di risolvere tutto con un’etichetta: dirsi reaganiani non basta, bisogna esserlo per davvero. E questo presunto e sedicente centrodestra di Ronald Reagan o Margaret Thatcher non ha praticamente nulla: non ha le idee, non ha la vocazione al Governo, non ha l’impostazione fusionista. Non ha, soprattutto, un retroterra culturale degno di tal nome.

A marzo Berlusconi assicura una kermesse per il rilancio: non siamo azionisti Mediaset, ma riteniamo che i soldi non vadano buttati. Ci eviti i soliti palloncini e le autocelebrazioni, la sfilata dei vincitori del casting e l’inizio di un nuovo reality fatto con i voti delle partite Iva. Si impegni, piuttosto, a creare le condizioni perché un centrodestra in Italia ci sia di nuovo: rinunci alle rendite di posizione (Forza Italia lo è a tutti gli effetti), chieda a tutti di sciogliere i propri movimenti, si faccia promotore di un contenitore che si ispiri alla Big tent reaganiana, capace di accogliere con pari dignità tutti quelli che si sentono di centrodestra. Poi si impegni con ostinazione a far crescere un minimo di competizione interna, lasci che si scontrino tesi e persone e che democraticamente il popolo faccia una sintesi con primarie il più aperte possibile. Chieda scusa per le sbandate putiniane e per gli occhiolini ai tiranni di alcuni alleati imbarazzanti, lavori per rimettere le cose al loro posto, per riunire il centrodestra, per posizionarlo a difesa dei valori occidentali.

Berlusconi dice di non voler litigare con la storia: forse fa bene e da questo deriva una passiva accettazione dell’egemonia renziana. Ma non commetta l’errore di confondere la storia con i giornali: lì fuori, nel mondo reale, c’è un sacco di gente che non si arrende, che si sente di centrodestra e che crede che una nuova storia si possa scrivere davvero. A costo di prendere a pugni il mainstream.

Tratto da Notapolitica

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:20