L’hashtag paradossale   di nome #Sbagliaverso

La questione sarebbe divertente se non fosse che ci troviamo di fronte ad un paradosso. I leader dei due maggiori partiti si sono persi, sbagliano verso: Berlusconi vuole fare Renzi e Renzi vuole fare Berlusconi. Il risultato è il completo disorientamento dell’elettorato di Forza Italia con annessa emorragia di voti verso Giorgia Meloni e Matteo Salvini ed un malcontento ormai evidente nel PD che potrebbe sfociare in una scissione o comunque in un’operazione suicida che rischia di resuscitare i Partiti di sinistra-sinistra dati ormai per archiviati dalla storia.

Purtroppo la vocazione maggioritaria è una cosa seria ed i Partiti che scelgono di perseguirla hanno la grande responsabilità di non fare invasioni di campo, pena la trasmigrazione degli elettori nei piccoli contenitori identitari ed una polverizzazione del consenso che equivale al caos. Prova ne sia che la coerenza di Salvini è data al 15 % (tendenziale) con importanti sfondamenti anche al Sud.

Bisogna avere le spalle larghe per guidare grandi movimenti interclassisti e non sono ammesse linee politiche ondivaghe perché ormai votare è diventato come fare zapping e gli elettori non contraggono né matrimonio con il proprio leader né tantomeno questi ultimi possono invocare l’articolo 18 per rimanere in sella. E sono appunto questi i due temi principali sui quali i due leader politici in questione si stanno incartando alla grande. Berlusconi, pur di mantenere la pace familiare, ha imboccato un controsenso clamoroso in tema di diritti civili e ius soli.

La vicenda di Fini dovrebbe insegnare a tutti (in special modo a chi lo ha contestato) che scimmiottare la sinistra pur professandosi di destra non è un atteggiamento che il popolo liberal apprezza particolarmente. Ragion per cui, una cosa è aggiornare le posizioni politiche sulla base degli intervenuti mutamenti sociali ed un’altra cosa è fotocopiare un volantino di Vendola cercando di imporlo ad una base notoriamente non di sinistra. Questo atteggiamento è troppo persino per un unto del Signore come Berlusconi che pretende di schioccare le dita e condurre il gregge dove vuole. I tempi sono cambiati, le posizioni vanno spiegate ed i distinguo con l’altra parte politica vanno marcati perché altrimenti la gente o preferisce l’originale ad una fotocopia “simil-progressista” o altrimenti la rappresentanza va a cercarsela da un’altra parte. Molti, a questo proposito, sventolano i sondaggi in base ai quali la società civile (e la maggioranza del popolo di centrodestra) sarebbe favorevole ad aprire su questi temi, ma non è questo il punto. Sarà pur vero ciò che dicono i sondaggi ma è altrettanto vero che, se aprire equivale ad abbracciare acriticamente le tesi di altri non fornendo valore aggiunto alla discussione o una propria visione del tema, ciò comporterà una inevitabile perdita di credibilità come partito guida della coalizione e come baluardo a difesa di un popolo che sarà pure delle libertà ma deve conciliare ciò con il presidio di un’area che è comunque di centrodestra.

Anche Renzi si è messo in testa che vuole “fà l’Americano” e continua a ripetere che l’articolo 18 non è un dogma, che il posto fisso non esiste più e che è arrivato il momento di distribuire ottanta euro a destra e a manca come fossimo ai memorabili saldi di Aiazzone, provare per credere. Anche in questo caso, usare argomenti liberal quando non si ha molta familiarità con l’argomento, rischia di essere controproducente oltre che goffo. L’articolo 18 non è un totem e questo è vero. Ma se l’obiettivo è quello di favorire l’ingresso nel mondo del lavoro, che senso ha applicarsi all’articolo 18 che tutela i singoli nell’ambito dei licenziamenti individuali? Visto poi che in tempi di stagnazione, toccando l’articolo 18 si rischia di scaricare sui lavoratori gli effetti della crisi, cosa c’entra con la flessibilità in ingresso con la norma oggetto di dibattito?

Contemporaneamente, il neo Reaganiano Matteo si produce (poco Reaganianamente) in elargizioni di contributi vari: li ha dati ad un certo numero di svantaggiati (con risultati inesistenti) e li ha promessi alle neo mamme. L’ambizione di ogni liberal non è quella di distribuire mancette da 80 euro facendo assistenzialismo inutile e sprecando preziose risorse. L’ambizione è quella di semplificare la disciplina giuslavoristica, abbattere la pressione fiscale e contributiva così da consentire che si verifichino le condizioni in base alle quali le imprese possano trasformare disoccupati in salariati, poveri in lavoratori. Per un liberale, dare mancette è ai limiti del danno erariale perché la mole enorme delle regalie si sarebbe potuta allocare in maniera più efficace per la collettività riducendo per esempio il prelievo. Lo Stato non è quello invasivo, oppressore e distributore di povertà, lo Stato non è quello che tassa per elargire ammortizzatori sociali inutili ma è quello che riduce il proprio raggio d’azione (e quindi le spese e il conseguente prelievo fiscale) per lasciare alla libera iniziativa la possibilità di generare valore per il benessere collettivo. Lo Stato non è nemmeno quello che, come spesso accade nelle manovre di Renzi, toglie con una mano e dona con l’altra facendo fare ai cittadini la triste fine del cane di Mustafà mirabilmente descritta da Tomas Milian in un suo famoso film.

Ma intanto il nuovo corso della politica 2.0 è questo e guai a non battere le mani al leader perché altrimenti si passa per irriconoscenti venendo relegati ai margini. Chiaro che poi ogni casa abbia le proprie usanze: in casa PD le teste pensanti si chiamano gufi mentre in casa Forza Italia si chiamano traditori. Loro sbagliano verso, ma che si dica che è il mondo ad essere contro senso.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29