Caso Napolitano o caso mediatico?

Che bella domanda! Ce la siamo posti un po’ tutti (e da parecchio tempo, invero) soltanto leggendo - si noti il soltanto - e guardando in tv la vicenda della trattativa stato-mafia culminata, a quanto pare, nella deposizione-interrogatorio del Presidente Giorgio Napolitano. Caso mediatico o caso giudiziario, il “caso Napolitano” si iscrive di prepotenza nel ventennio e passa di una storia italiana, di una narrazione, che, abbandonati i toni della commedia all’italiana ha imboccato con prepotenza, appunto, quelli della metabolizzazione del caso tramite mass media.

Siccome la prima risposta da dare la sanno anche i bambini, e cioè che si tratta di entrambi i casi, verrebbe da aggiungervi l’inevitabile leggendario “circo mediatico-giudiziario”. Che è stato, e in parte ancora lo è, il mattatore di questo ventennio. Verrebbe anche voglia di rimandare la memoria ad un’esemplare opera del nostro direttore Arturo Diaconale che approfondì il circo, oppure circuito, nei suoi esiti da “tecnica postmoderna di colpo di stato magistrati giornali” (titolo originale) laddove quel postmoderno stava anche ad indicare, nel lontano 1995, quanto in realtà sono vicini sia l’anno che il titolo del libro.

Ma, si sa, il tempo passa, gli anni si srotolano come una pellicola, lasciandoci un retrosapore di déjà vu che rischia di annebbiare il presente, ma, pure, ci serve ad analizzarne analogie e inquietudini. “As time goes by”, cantava una canzone di “Casablanca” in cui una fulgida Ingrid Bergman pregava Sam di cantarla di nuovo. Capita così anche a noi, di dirci e cantarci, una canzone che è sempre la stessa, “mentre il tempo passa”, ma che suggestiona e, soprattutto, tenta di farsi largo nella complessità della storia della sua contraddittorietà simile a un groviglio reso tanto più inestricabile quanto più i mass media si impegnano a complicarlo, come se dovesse scaturirne una soluzione, una via, una luce.

Il nostro caso, però, va al di là di qualsiasi tecnica postmoderna e di qualsiasi golpe per il semplice motivo che riguarda noi, la Nazione, lo Stato, il suo Presidente, il nostro Presidente della Repubblica. Già scrivemmo che il problema non era di legittimità, se giungere a tal punto, con un interrogatorio del Presidente da parte dei legali del cosiddetto antistato. Un interrogatorio che è una deposizione, ma che su tutti giornali del mondo è stato inteso e scritto in tal modo come se, appunto, il Capo dello Stato dovesse rispondere su lati oscuri di una trattativa della quale non poteva non sapere qualcosa, anche per via di una lettera del suo consigliere giuridico. Ecco, è quel sospetto del “non poteva non sapere” che ha accompagnato il prima, il durante e, forse, anche il dopo di questa vicenda. Legittima, certo, l’iniziativa della Corte palermitana. Ma la maestà della legge deve o non deve fare i conti con la politica? Certo che sì. Li ha fatti a modo suo, in nome di quella uguaglianza fondativa dello stato di diritto ma, al tempo stesso, interpretata dalla nostra Costituzione, la “più bella del mondo”, specificando garanzie e prerogative proprie del Capo dello Stato. “Tot capita tot sententiae”, insegnavano i latini maestri di diritto, e chi come noi si richiamava alle esigenze dell’opportunità sono stati smentiti, oltre che dall’udienza al Quirinale, dal suo stesso inquilino che, tra l’altro, non è uscito indebolito dalla prova, al contrario. Ma il punto principale, il nodo primario del “caso Napolitano” non era né di legittimità né di necessità assoluta. Il nodo era ed è mediatico.

Volenti o nolenti, dobbiamo inchinarci non più soltanto a chi reclama(va) la “sacralità del corpo del re” ma soprattutto alla sacra maestà del medium, alla sua insuperabilità, alla sua potenza. Perché, se il problema non era e non è del genere in senso lato giudiziario, salvo conferme importanti, tipo l’aut aut della mafia di quegli anni alla politica di quegli anni, e che anni, che cosa ne resta nella memoria collettiva, nel suo immaginario, nella nostra percezione? Stavo per aggiungere: nella nostra storia? Rimane il caso mediatico, rimane, cioè, una memoria che supera la realtà, un ricordo di un fatto se non addirittura di un dato di fatto, insopprimibile, che non si può cancellare. Un fatto mediatico. Non più un caso, “sic et simpliciter”. Un ossimoro? Forse, ma non troppo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:19