Renzi è condannato a vincere alle regionali

Il problema di un leader populista è che è condannato a vincere. “Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi”, diceva Benito Mussolini con linguaggio da trincea nella preistoria della società della comunicazione e dell’immagine. Ed ora che questa società è diventata talmente matura da aver trasformato la vicenda pubblica in spettacolo, i cittadini in pubblico ed il consenso in audience, quella regola da populismo d’antan è diventata la condanna ad avere successo sempre e comunque per chiunque punti ad avere consenso plebiscitario sulla scena politica nazionale.

Questa condanna a non potersi permettere alcuna battuta d’arresto grava come macigno instabile sulla testa di Beppe Grillo. Che, però, ha già subito una battuta d’arresto in quella che sembrava la propria irresistibile ascesa ai vertici politici della società italiana. E che, dopo il voto europeo in cui non è riuscito neppure a confermare il risultato eccezionale delle precedenti politiche, è ormai considerato sul viale del tramonto. Ma la condanna grava ancora di più su Matteo Renzi che, a meno di un anno della sua trionfale conquista di Palazzo Chigi e da appena qualche mese dal trionfo di audience politica delle elezioni europee, rischia di fare la fine di quei cantanti che dopo aver vinto il Festival di Sanremo finiscono nel giro di pochissimo tempo nel dimenticatoio.

Le elezioni regionali di domani in Calabria ed in Emilia Romagna sono un banco di prova estremamente significativo per il Presidente del Consiglio. A questo appuntamento Renzi arriva con la certezza che il suo Partito Democratico riuscirà comunque a conquistare le due regioni, ma con il fondato timore che al successo del partito non corrisponderà un consolidamento del suo successo personale. Questo timore si fonda sulla sensazione ampiamente diffusa che il grande attivismo comunicazionale del giovane leader abbia già esaurito la propria capacità di convinzione e di coinvolgimento popolare. Troppe attese sono state accese ma nessun risultato concreto è stato fino ad ora conseguito. La promessa di una riforma al mese si è tradotta in nessuna riforma in un anno. Il tutto mentre la crisi ed i suoi effetti perversi sul Paese continuano a crescere senza trovare ostacoli effettivi e reali in una azione di Governo tutta basata solo su una sterile comunicazione.

L’assenza di competitori consente ancora a Renzi di presentarsi all’opinione pubblica del Paese come l’unica speranza a cui aggrapparsi per risalire la china della crisi. Ma ad intaccare questa posizione e la sua conseguente rendita di consenso ci sono le tensioni sociali che da qualche settimana si stanno progressivamente diffondendo in tutte le principali città italiane. È possibile che queste tensioni siano riconducibili all’azione strumentale dei sindacati più oltranzisti ed a quelle ristrette minoranze antagoniste che sfruttano la crisi per continuare a sopravvivere. Ed è anche possibile che proprio l’insorgere di tali tensioni sociali possa rinforzare il messaggio con cui Renzi si accredita come l’unica alternativa al caos. Ma, anche se declassate a fenomeni strumentali, le tensioni rappresentano una comunicazione negativa per il leader populista di Palazzo Chigi. Indicano che la sua irresistibile ascesa nell’audience nazionale perde colpi e che è iniziata, prima del previsto, la parabola discendente.

Le astensioni in Calabra ed in Emilia Romagna dimostreranno se l’avanzata continua o se è iniziata la ritirata. Con tutte le conseguenze che si porta dietro!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28