Salvini fino al 10-15 per cento. Sì, ma poi?

Solo vedendo la puntata dell’immortale “Striscia la notizia” di giovedì, dedicata, in parte, ad un giovane Matteo Salvini alle prese con un gioco gestito dal non meno immortale Davide Mengacci, ho fatto mente locale sul sospetto che serpeggia nelle alte sfere del Cavaliere, cioè in lui, a proposito della crescita del leader leghista collegata, anche e soprattutto, alla superesposizione dello stesso in tutti i talk, dall’alba al tramonto. “Striscia” aveva scovato un’antica apparizione di Salvini, zazzeruto alla “Beatles” in quella trasmissione di quiz di Mengacci dove, con la consueta paciosa eppur pungente ironia, il conduttore si faceva raccontare dal concorrente qualcosa di privato, magari che facesse, chi fosse, da dove venisse. E il giovanissimo Salvini a rispondere, lesto e sfacciato (un po’ come l’altro Matteo quando andò da Mike Bongiorno) che era nullafacente ma iscritto all’università senza dare esami. Non c’era del tenero in questa rievocazione dalle teche Mediaset, ché la figura salviniana non spiccava per intraprendenza, brillantezza e vittoria finale al quiz, come invece era capitato a Renzi. Il che ha suggerito il sospetto di cui sopra e che cioè nell’“inner circle” berlusconiano l’irruente corsa di un Salvini che scorrazza dal nord al sud, soprattutto al sud, non sia così salutare né per Forza Italia né per il centrodestra, se è vero come è vero che dallo stesso Matteo milanese sono state avanzate le cosiddette certezze elettorali di un sorpasso della Lega nell’Emilia al voto domenica, superando Forza Italia e costituendo il vero punto di riferimento futuro per l’intero Polo di centro-destra.

Naturalmente ci si chiede come sia coerente lo stesso leader leghista, con il forte insediamento al Nord (con un lascito antimeridionale assai marcato) e le antiche pulsioni secessioniste mai sopite in Veneto, nell’intraprendere un nuovo disegno politico. Un’ipotesi, cioè, di raccordo intorno a lui, se gli arriderà il successo domenicale, non solo di presenze diverse al centro e al sud - Giorgia Meloni e Adriana Poli Bortone - ma di soggetti partitici storici, a cominciare dalla stessa Forza Italia, peraltro in difficoltà e comunque “complice” di Renzi nel patto del Nazareno, peccato rimproverato quotidianamente dal puro e duro Salvini. Il cui progetto si riassume in due o tre parole d’ordine: no all’euro, no all’Europa, via i “negher”, viva Putin e pure la dinasta di Kim II – Sung, ecc. Questa potrebbe essere la forte “contraddizione che non consente” la riuscita di una simile prospettiva. Ma si sa che in politica la coerenza non è spesso di casa e che le spinte propulsive anti governative, anti euro, anti immigrati, anti tutto, nonché i successi, vedi quello di Beppe Grillo, non sono improbabili.

Ma mettiamo pure che Salvini sfondi prima in Emilia e poi più in giù e che sfiori, almeno nei sondaggi, quelle due cifre da sorpasso del partito del Cavaliere consentendogli di sbandierare, a parole, la sua leadership sugli altri come Forza Italia ritenuti vecchi, complici altrui e dunque da rottamare: è immaginabile che ciò avvenga, nei fatti? Intendiamoci, la forza di un giovane Matteo, quello fiorentino, consisteva proprio in questa sfida lanciata alle primarie, nel porsi cioè come alternativa all’interno del Partito Democratico in grado di contrastare sia il nemico esterno Grillo, sia quello interno, Pier Luigi Bersani, vincendo alla fine e diventando premier sloggiando Enrico Letta in pochi mesi e facendo il pieno di voti alle elezioni europee.

Anche il Matteo nordico ha scagliato il suo guanto immaginando, mettiamo a Milano del 2015, uno scenario analogo, cioè con le primarie nel centrodestra per la scelta del futuro sindaco, dove non sarebbe difficile imitare il successo renziano posto che a Milano la crisi di un centrodestra senza idee e senza programmi originali, è assai acuta. Che sia questa la vera operazione di Salvini, al di là delle grandi speranze nazionali? Del resto, il partito che governa Milano ha mezza Italia in pugno, come si diceva una volta. Può essere. Ma il problema di fondo resta sempre quello: della proposta politica, delle prospettive economiche anticrisi, del progetto globale, della visione del Paese, del suo futuro, e dunque delle concrete possibilità di costituire un’alternativa di governo a Renzi.

Dato e non concesso che Salvini possa raggiungere e superare il 15 per cento, resta pur sempre il problema della guida di un Polo dove, volenti o nolenti, il punto di riferimento, innanzitutto per storia personale e poi per richiamo per l’indubbio appeal “moderato-centrista”, resta Silvio Berlusconi. L’ipotesi di una sua sostituzione ad opera di un travolgente Salvini non appare “politicamente” realizzabile, pena una mutazione radicale politica, e dunque rischiosa elettoralmente, del fu Popolo della Libertà.

Ovvero: un centrodestra guidato dalla Lega è credibile? E, soprattutto, è possibile come competitor governativo di Renzi, il quale, “et pour cause”, spinge affinché lo scontro sia fra lui e l’altro Matteo? Diversa la situazione qualora l’avanzata salviniana sia al di sotto di quella fatale quota, in tal caso si porrebbe come un obbligo il tema di un’alleanza competitiva, purché il Cavaliere riesca a contenere - come già capitò, a volte, con Umberto Bossi, ma era un’altra storia - i bollenti spiriti dello sfasciacarrozze in felpa, così distinto e distante dallo spazio del moderatismo liberale berlusconiano, già conteso, peraltro, dallo stesso Renzi. Certo, in politica del “doman non v’è certezza”. Un punto però sembra chiaro: Salvini al 10-15 per cento? E poi?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:19