Se l’ideale di Renzi   è solo il potere

Nelle regioni meridionali il voto è sempre stato volatile. Nel senso che è sempre andato nella direzione del vento dominante. La Sicilia del 60 a zero in favore del centrodestra non ci ha messo molto a passare a sinistra dopo una parentesi neo-centrista. E lo stesso è avvenuto in Calabria, dove il passaggio dalla predominanza della destra a quello della sinistra è avvenuto senza che nessuno si scandalizzasse più di tanto per questa stupefacente capacità dei calabresi di fiutare l’aria e di allinearsi sempre e comunque dalla parte vincente. Naturalmente, tutti sanno che la maggioranza degli elettori del Meridione è moderata e quando cambia lo fa solo per convenienza contingente. Ma le metamorfosi non stupiscono. Sono un tratto caratterizzante di tradizioni e di popolazioni a cui la secolare esperienza di vassallaggio a dominatori diversi ha insegnato che stare dalla parte di chi vince è sempre più utile che ritrovarsi sul carro di chi perde.

I risultati delle elezioni regionali in Calabria ed in Emilia Romagna farebbero pensare che il voto volatile abbia attecchito anche al Nord. A ben vedere si tratta di un’impressione sbagliata. Perché gli elettori emiliani non hanno affatto fiutato il vento mettendosi dalla parte del vincitore, ma sono rimasti incredibilmente coerenti con la loro storia optando a favore dell’astensione per non tradire le ragioni della propria appartenenza. Ciò vale per quelli del Pd ma anche per quelli di Forza Italia, che non sono passati al renzismo ma sono rimasti nel centrodestra di Salvini. Renzi ha commentato questa prova di coerenza sostenendo che si è trattato di un fenomeno secondario rispetto alla conquista da parte del Pd dei governi delle due regioni in palio. E le sue parole sono state interpretare come una conferma ulteriore della ormai conclamata superficialità del Premier.

In realtà, mai come in questa occasione la posizione assunta da Renzi non rispecchia una vocazione alla battuta estemporanea tesa unicamente a celare una sconfitta reale attraverso l’esaltazione di una vittoria formale. Al contrario, è il frutto dell’unica convinzione profonda che Renzi ha espresso fin dal momento in cui ha iniziato la scalata del Partito Democratico. Quella della rottamazione della vecchia classe dirigente del Pd. Si dirà che un conto è rottamare D’Alema, Bersani e Bindi ed un conto è rottamare, con la sottovalutazione ed il dileggio, la base più tradizionale del partito. Ma come riuscire a togliere di mezzo il gruppo dirigente del passato senza compiere la stessa operazione nei confronti di quella parte della base che ha sempre sostenuto D’Alema, Bersani, Bindi?

Renzi, allora, non ha dato dimostrazione di banalità ma ha portato avanti in piena coerenza un disegno ben preciso che punta a snaturare radicalmente il Dna del Pd. Il progetto è assolutamente sacrosanto. Chi ha sempre denunciato gli effetti devastanti che ha avuto sul Paese l’egemonia della vecchia guardia post-comunista di vertice e di base non può non guardare con soddisfazione alla trasformazione che il Premier tenta di imporre al suo partito. Ma a quale risultato vuole giungere Renzi? Quale dovrebbe essere, in altri termini, la natura che il leader del Pd intende dare alla sinistra italiana?

Su questo punto il mistero è fitto. Nessuno è in grado di capire se nella testa di Renzi il modello da perseguire sia quello socialdemocratico o quello liberal-socialista. Probabilmente neppure lui sa bene dove vuole arrivare. Ed è proprio quest’incertezza che suscita inquietudine. Perché, in politica, quando uno non sa più quali ideali debba continuare a nutrire, tende a risolvere l’angoscioso problema badando solo ed esclusivamente al potere, alla sua conquista ed alla sua conservazione. Né più né meno di quanto sta facendo Renzi: solo potere, niente ideale!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:20