Rai, Vespa funziona   ma attenti al Cda!

Diciamo che funziona Bruno Vespa non per mera piaggeria, figuriamoci. Ma per la sua dimensione politica - parliamo di dimensione e non di partecipazione partitica - che non rimuove il passato, quando, nella Prima Repubblica (unica mosca bianca) ebbe il coraggio di ammettere di avere come referente la Democrazia Cristiana di Arnaldo Forlani. In realtà Vespa è stato, come altri, tipo Pippo Baudo, l’autentico esponente di un vero e forte partito: il partito della Rai. La cui autoreferenzialità prevaleva sui richiami partitici dai quali, peraltro, erano una sorta di emanazione, naturalmente sui generis; un’elaborazione complessa ma consapevole e non ipocrita.

Ora, nella Seconda Repubblica (in attesa della Terza), Vespa sembra rimasto il cosiddetto giapponese alle Filippine, l’ultimo dei mohicani, l’emblema estremo di una visione del medium, soprattutto della Rai intesa come servizio pubblico, che cerca di mantenere l’attenzione polifonica e il garbo polivalente in scena a “Porta a Porta”, non a caso definita la “Terza Camera del Paese”. E lo è davvero proprio per le ragioni di cui sopra. Ma è lui, la persona fisica - che assomma molteplici ruoli di conduttore, presentatore e scrittore - che esprime quella dimensione di cui sopra. Anche in certi dettagli, vedi la presentazione, con Silvio Berlusconi, del suo ultimo libro, peraltro brillante, documentato e godibilissimo nella lucida narrazione del “Voltagabbana” all’italiana dalle origini ai giorni nostri. Bruno Vespa sa come destreggiarsi nella sua “mission” alla ricerca della frase significativa del politico (il Cavaliere ha confermato il Nazareno e lanciato Matteo Salvini goleador con lui capitano, beninteso) della risposta che farà notizia. Il che è, o dovrebbe essere, il ruolo, la missione degli addetti all’informazione o infotainment della Rai, di quel servizio pubblico radiotelevisivo che resta una della colonne portanti, una delle più grandi industrie, un punto di riferimento storico, della comunicazione e dello spettacolo in Europa.

La Rai è sempre all’ordine del giorno, non tanto o soltanto per la potenza della sua ragion d’essere consolidatasi negli anni, ma per la sottostante o sovrastante struttura “politica” derivante dal semplice motivo che il suo referente primario è il Parlamento. E nel Parlamento ci sono i partiti, compresi quelli dell’antipolitica grillina che ha voluto e ottenuto il presidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza sulla Rai. Le vestali dell’estraneità dei partiti alla Rai si stracciano le vesti perché nella Rai c’è la politica, fingendo di ignorare che la fonte stessa della legittimità dell’azienda poggia sui partiti, tutti o quasi, che designano i loro rappresentanti nel Consiglio di amministrazione. Il quale consiglio è all’ordine del giorno delle polemiche odierne, cui s’è aggiunto, ma per poco, l’inserimento del canone Rai nella bolletta Enel. Un inserimento, tuttavia, che appare sospetto per i tempi in riferimento al dibattito intorno ai 150 milioni di euro richiesti dal Governo Renzi alla Rai. Una richiesta legittima e addirittura ovvia in tema di risparmi generalizzati delle aziende di Stato. Il Cda ha invece respinto la richiesta motivandola, essenzialmente, in nome dell’autonomia della Rai dal Governo, suo azionista, e dai partiti che sono gli “azionisti” del Governo & Parlamento.

Le relative dimissioni della Luisa Todini hanno sottolineato la (ovvia) contraddittorietà dei comportamenti del Cda la cui presidente Anna Maria Tarantola si è astenuta essendo, come dice qualcuno, di garanzia. Garanzia da che e da chi? Ma il dato più curioso (ancorché non nuovo) è la motivazione con la quale i due componenti, Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, hanno spiegato il loro voto decisivo contro la richiesta del Governo. Si sono autoproclamati esponenti della società civile, un soggetto elitariamente etico tirato in ballo di frequente per marcare il confine che lo separa irrevocabilmente da chi non vi fa parte, dalla società incivile dei partitocratici impuri e contaminati. Intendiamoci, sono due persone d’alto profilo. Ma non è questo il problema. Colombo è stato addirittura uno dei fondatori dell’associazione “Società Civile” di fine anni ‘80 a Milano; un mix di giudici, giornalisti e politici. Il loro voto nel Cda è stato pesante e decisivo, con la sottolineatura della loro distanza e distinzione dalla politica e dai partiti.

Ora, si dà il caso che i due consiglieri siano stati imposti non dal fantasmagorico seppur immanente soggetto di cui sopra, ma da Pier Luigi Bersani, allora segretario del Partito Democratico. La loro è stata una nomina squisitamente politica, tant’è vero che il loro voto in Cda è stato altrettanto politico trattandosi di dire di no a Renzi. Chissà se al suo posto ci fosse stato Bersani che tipo di voto avrebbero espresso. Tutto legittimo, beninteso. Ma non si invochi la leggenda della società civile per motivare una decisione dagli effetti politici. Che non sarà certamente piaciuta al Premier che già aveva battibeccato con Giovanni Floris, fuoriuscito dalla Rai e ora a La7. E il sospetto che il cambio di tipologia del canone, anche se rientrato, sia funzionale al rinnovamento del Cda non è infondato. O ad altre fuoriuscite. Non quella di Bruno Vespa, per intenderci.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21