M5S, Beppe Grillo   e la nemesi della Storia

Il Movimento 5 Stelle è nel caos. Espelle suoi rappresentanti come fossero coriandoli alla festa di carnevale. L’ultimo “vaffa”, in ordine di tempo, se lo sono beccati i parlamentari Paola Pinna e Massimo Artini. Francamente meraviglia che ci si meravigli. Era fin troppo facile pronosticare che la tenuta della formazione, nata dal nulla, potesse resistere all’impatto con la vita quotidiana all’interno delle istituzioni. Un conto è lanciare invettive e proclami, altro è stare in Parlamento per concorrere al processo legislativo. Anche dai banchi dell’opposizione.

Grillo è stato un eccellente tribuno che ha cavalcato la protesta e lo sdegno popolare nei confronti di una classe dirigente che ha dato poco e sottratto molto al Paese. Ha ragione il comico genovese nel dire che, in un momento terribile per l’Italia con una Grecia alle porte che bruciava, la sua discesa in campo ha probabilmente evitato che il malessere prendesse pieghe pericolose. Lui e il suo movimento hanno corrisposto a una legge aurea della politica secondo la quale gli spazi lasciati vuoti si occupano. La mancanza di proposte programmatiche credibili, sia da destra sia da sinistra, ha determinato il successo della sua lista che si proponeva come unico obiettivo la rottura del sistema. Il fatto di non aver raggiunto la maggioranza dei consensi ha naturalmente insterilito la sua offerta politica.

Nel frattempo, la scarsa incisività dei 5 Stelle ha fornito l’opportunità ad altre organizzazioni partitiche, maggiormente strutturate, di riguadagnare il campo. Chi beneficia ora della crisi dei grillini? In primo luogo, la Lega di Salvini. In realtà si tratta di una nemesi storica. L’exploit i Cinque Stelle lo avevano realizzato, nel 2013, proprio a spese del Carroccio. Il prosciugamento dell’elettorato leghista nella roccaforte del Veneto ne è la prova. Nella regione locomotiva d’Italia, nel 2013, la Lega Nord, nelle due circoscrizioni della Camera, aveva raccolto un drammatico 10 per cento contro il 26 per cento di media del M5. Se si confronta il dato con quello delle precedenti elezioni del 2008, dove la Lega aveva ottenuto il 26 per cento dei consensi espressi, resta evidente il travaso.

Gli esiti del recente confronto elettorale in Emilia Romagna indicano un ribaltamento della scena. La Lega punta a riprendersi i suoi voti svuotando il soufflé Grillo. Matteo Salvini ha riformulato il suo programma sulla scorta di un significativo riposizionamento strategico del partito. Il Movimento 5Stelle è invece rimasto a corto di argomenti e ora i suoi rappresentanti rischiano l’autoreferenzialità. L’esperienza ha dimostrato che per conquistare un consenso immediato è sufficiente proporsi come distruttivi. Ma ciò non basta per mantenerlo. Il qualunquismo su cui poggia l’azione di Grillo non offre soluzioni politiche praticabili, per cui la gente comincia a chiedersi cosa sia servito averlo votato. È la pars costruens che è mancata ai Cinque Stelle. Le contorsioni cesariste del suo leader sono i sintomi, non la causa, della patologia che ne mina le fondamenta. È evidente che, col tempo, le cose per i grillini andranno a peggiorare, soprattutto se anche Forza Italia dovesse rimettersi in moto per rimontare il gap elettorale che la separa dai suoi diretti competitori, interni ed esterni all’area del centrodestra.

Anche il partito di Berlusconi aveva versato, nell’elezioni del 2013, un pesantissimo obolo alla causa pentastellata. Con eccessiva disinvoltura il voto a Grillo era stato classificato quale manifestazione della coscienza profonda del popolo della sinistra, finalmente risvegliato da un nuovo vento moralizzatore. Non era così. Grillo aveva pescato a destra tra lo sconcerto di quegli elettori lasciati allo sbando dalla scelta del Pdl di appoggiare, senza alcuna obiezione, il governo commissariale dell’inviato speciale dei “poteri forti”, Mario Monti, oltre a quelli che erano rimasti delusi dall’inconcludenza della Lega di governo che non era stata capace di portare a casa il tanto agognato federalismo. Oggi tutto questo è alle spalle. Il Paese rischia di restare travolto dall’intensità di una crisi che non passa. Si tratta di raccontare tutt’altra storia nella quale né Grillo né il suo inquietante socio in affari, Gianroberto Casaleggio, hanno assegnata la parte dei protagonisti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:25