Renzi, la corruzione e le inutili Authority

giovedì 18 dicembre 2014


Maurizio Ferrara giorni fa, sulle colonne del Corriere, si chiedeva che fine abbia fatto quella “revisione della spesa” di cui tanto si è parlato nell’ultimo anno e che doveva fungere da leva per il risanamento del settore pubblico sul versante delle uscite in base a criteri di equità ed efficienza.

L’aver sollevato questo interrogativo a qualche mese di distanza dal caso Expo di Milano e nel bel mezzo delle indagini su Mafia capitale, nella stagione degli scandali sul malaffare legati a giri miliardari di appalti concessi dalla Pubblica Amministrazione a soggetti che non si son fati scrupoli di lucrare in modo delinquenziale su lavori pubblici, cooperazione sociale e in sostanza vite umane, lo rende ancor più pertinente e puntuale, per quanto, al momento appaia solitario nel panorama giornalistico e politico. Pleonastico aggiungersi a chi brandisce la spada della denuncia e della stigmatizzazione di un fenomeno che si sta delineando come pervasivo e assolutamente trasversale dal punto di vista politico, il punto definitivo lo metterà la giustizia dopo aver accertato le responsabilità di chi ha agito in modo corruttivo e delinquenziale.

Utile, invece, tornare alla domanda di Ferrara poiché, diradata la cappa che per anni ha nascosto e tutelato la ‘cooperazione del malaffare mafioso’ e il sistema corruttivo, solleva l’altra domanda, che nessuno ha avuto il coraggio né di porre né tantomeno a cui ha dato risposta, sulla passata ed attuale utilità di quegli straordinari parcheggi e ammortizzatori sociali per politici trombati e nominati che sono le Authority. Il cui operato, ormai è un fatto assodato, non incide minimamente in termini di correzione e sanzione effettiva delle infinite storture corruttive lievitate in un sistema che negli anni ha consentito ed incoraggiato soggetti della più diversa provenienza a lucrare e ritagliarsi il proprio strapuntino nel concretissimo Shangrilà romano del malaffare malavitoso.

La risposta è una sola: inefficacia dei controlli, considerando che quello degli appalti pubblici è il bacino di (presunto) intervento e monitoraggio sui cui avrebbe dovuto sorvegliare e fare verifiche, ad esempio, l’AVCP (Authority per la Vigilanza sui Contratti Pubblici) che a giugno scorso è stata soppressa per essere accorpata all’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) guidata da Raffaele Cantone e di cui eredita compiti e strutture.

Bene, diamo un’occhiata allo straordinario ventaglio di poteri, competenze e funzioni di cui disponeva l’AVCP e tuttora proprie dell’ANAC. In qualità di organo collegiale che vigila sul rispetto delle regole (?) che disciplinano la materia dei contratti pubblici, dotata di indipendenza funzionale, di giudizio, di valutazione e autonomia organizzativa, tra le sue funzioni e competenze figurano questi compiti: vigilare sui contratti di lavori pubblici, sulla regolarità delle gare sui contratti pubblici per garantire correttezza e trasparenza; verificare la correttezza degli affidamenti e l’economicità di esecuzione dei contratti affinché non rechi pregiudizio per il pubblico erario; segnalare a governo e parlamento e ministero delle Infrastrutture le inosservanze della normativa; formulare al governo proposte di modifica alla legislazione che disciplina i contratti pubblici; su richiesta della stazione appaltante, ovvero dell’Amministrazione che ha indetto l’appalto ma anche di una delle altre parti dell’appalto emettere un parere vincolante sullo svolgimento della gara; presentare al governo e al parlamento una relazione annuale sulle disfunzioni riscontrate nel settore appalti pubblici; provvedere alla raccolta dati informativi sui contratti pubblici promuovendo con le Regioni un sistema informatico per acquisire le informazioni.

Ma è lo spettro delle prerogative a lasciare basiti se commisurato ai risultati conseguiti negli ultimi anni: Ha poteri sanzionatori e ispettivi per cui può richiedere documenti informazioni e chiarimenti alle stazioni appaltanti; può decidere ispezioni potendo disporre3 direttamente della Guardia di Finanza e di altri organi dello Stato; disporre perizie, analisi economiche e statistiche; trasmettere i propri atti e ispezioni agli organi di controllo e a quelli giurisdizionali; irrogare sanzioni pecuniarie per sanzionare inottemperanze sul fronte della trasmissione di informazioni e documentazioni false o per mancata trasmissione dei requisiti di partecipazione da parte delle imprese appaltanti.

Con uno spettro operativo così largo c’era da rivoltare l’Italia come un calzino. Invece no, né la fusione voluta dal premier Renzi ha sortito chissà quali prodigiosi risultati in termini di lotta alla corruzione. Per Mafia Capitale la magistratura si è attivata senza che l’Authority abbia mai dato segnali in proposito. Così come è accaduto per gli scandali sulla cupola che aveva messo le mani sui lavori di Expò di Milano dove la Boccassini ha avviato le inchieste e solo successivamente è arrivato il timido dossier dell’Avcp in cui si denunciava che (in nome della fretta), mezzo miliardo era stato sottratto ai controlli, grazie a 82 disposizioni del codice degli appalti che sono state cancellate da quattro ordinanze della presidenza del Consiglio. Ma l’Avcp, ora accorpata all’Anac, non poteva svegliarsi prima anche sul giro di appalti e contratti finiti nel pantano di Mafia Capitale? Il punto, non si scappa, è che in un paese come l’Italia, in cui già è difficile far comprendere la distinzione tra spesa e spreco, queste Authority che costano così come gli altri centri di spesa non fanno il lavoro che dovrebbero svolgere o lo fanno con imbarazzante ritardo, considerato, ad esempio, che l'Antitrust ha svolto fino a giugno scorso solo 22 istruttorie in 22 anni.

Perché dunque non compaiono tra le voci della pressoché dimenticata Spending Review? E’ ovvio che servono soltanto a far lievitare il passivo e se è urgente ridurre le leggi e semplificare quelle che rimangono poiché l’attuale ginepraio del sistema legislativo e normativo favorisce la discrezionalità, certo è che le 18 Authority presenti in Italia si vanno ad aggiungere agli altri infiniti centri di spesa, nazionali e locali, col loro personale peso sull’erario di un miliardo di euro l'anno. E senza raggiungere alcun risultato. Per un a ragione semplicissima: di quei rarissimi provvedimenti che emettono, definiti “perplessi” per le evidenti incongruenze giuridiche e farraginosità lessicali, circa l'80% sono ricorribili al Tar che, su richiesta degli ’interessati, li sospende rimandandone l’esame a tempi biblici con l’obiettivo di ottenerne la sospensiva. E’ il solito gioco delle parti, una finzione che l'Authority conosce bene e che non fa nulla per contrastare mentre.

A l contrario, i soldi incassati dai suoi componenti e funzionari sono verissimi e pesano sulla spesa pubblica. E’ un sistema così ben oliato e collaudato che, mentre in un primo tempo i privati cittadini si sono rivolti fiduciosi alle Authority, ora hanno compreso benissimo che è del tutto inutile arrivare ad eventuali provvedimenti poi sospesi dal Tar. Perché si deve seguitare a pagare per tenere in piedi questi veri e propri monumenti all’inefficienza ed all’inefficacia di cui si vuol accreditare una presunta indipendenza dalla politica mai realmente garantita? Ma il premier Renzi davvero vuol farci credere che la lotta per la qualità della spesa pubblica e contro la corruzione possa consegnarsi solo all’ inasprimento delle pene, con l’ennesima dichiarazione sul cambiamento delle regole del gioco con l’ avvenuto accorpamento tra AVCP e ANAC che porta da 20 a 350 i dipendenti, oltre alle unità della Guardia di Finanza?

O se ne rafforzano i poteri concretamente, riqualificando e rendendo effettivamente produttiva questo carrozzone o li si tagli altrimenti è follia, oltre che prova di malafede, continuare ad indebitarsi per lasciare che le Authority, in particolare questa, seguitino ad essere i buchi neri di sprechi quali sono, utili unicamente come ammortizzatori sociali e del tutto inadeguate a garantire la lotta al malaffare che sta inghiottendo l’Italia.


di Barbara Alessandrini