Dibattito giustizia,   inquietante squilibrio

È inquietante come sulle questioni della giustizia l’unico interlocutore riconosciuto e temuto dal Governo sia diventata l’Associazione Nazionale Magistrati. In passato le Camere Penali davano voce alla categoria degli avvocati bilanciando in qualche modo la naturale tendenza del sindacato delle toghe all’invasività. E le forze politiche d’ispirazione liberale cercavano di inserirsi nel dibattito portando avanti argomentazioni e proposte di legge tese a frenare la lunga deriva giustizialista presente nel Paese dall’ormai lontano inizio degli anni Ottanta. Ma da qualche tempo a questa parte le Camere Penali non riescono più a tenere il passo della debordante Anm. E da quando Silvio Berlusconi è stato silenziato per legge sugli argomenti di giustizia le forze politiche d’ispirazione liberale sono diventate totalmente afone. Al punto che l’unico a frenare le spinte del giustizialismo corporativo e forcaiolo è, paradossalmente, Matteo Renzi. Il quale, però, non frena sul merito ma polemizza solo sul metodo. Nel senso che si irrita per la petulanza, ma non per le posizioni e le richieste dei magistrati.

Questo sbilanciamento provoca conseguenze devastanti. Nessuna persona provvista di un minimo di buon senso è convinta che la lotta alla corruzione possa essere condotta solo con l’aumento delle pene e l’allungamento dei tempi della prescrizione. Ma nessuno batte ciglio di fronte alla decisione del Governo di predisporre una legge che ricalca ottusamente le “grida” manzoniane e che serve solo a placare l’emotività popolare suscitata dal caso di Mafia-Capitale e le richieste dei settori più forcaioli della magistratura. E nessuno osa muovere la minima critica al procuratore Antimafia Roberti che, sempre sull’onda dell’emergenza, predica “più antimafia per tutti”. O si permette di ricordare a don Ciotti che il suo “deus vult” contro la corruzione troppo spesso sembra nascondere l’esistenza di una crociata per trasformare “Libera” nell’unico ed immenso collettore dei beni sequestrati ai mafiosi. O, infine, tenta di spiegare a Raffaele Cantone che il metodo della delazione nella Pubblica amministrazione non solo è tipico delle società rette da regimi autoritari, ma può avere effetti devastanti, sia esplosivi che paralizzanti, in un tessuto pubblico dove il blocco dei contratti e delle carriere suscita odi personali e faide di gruppo a getto continuo.

Naturalmente non è colpa dell’Anm se l’avvocatura è latitante, se Renzi si preoccupa solo di chiedere l’applicazione della regola del “non parlare al conducente” e se le forze politiche d’ispirazione liberale sono diventate afone dopo che il loro tradizionale megafono di Arcore è stato condannato al silenzio. La colpa, ovviamente, è di chi latita, ignora i contenuti e si rivela incapace di avere vita autonoma al di fuori del Cavaliere. Per questo è bene stimolare chi è assente a rientrare in gioco ed a riconquistare una presenza indispensabile per il futuro della democrazia italiana. Senza pluralità e bilanciamento di opinioni la deriva autoritaria è assicurata!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28