Caos Marò, tra tecnici  e nuovo che avanza

La vicenda dei due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, è una delle più eloquenti “cartine di tornasole” per qualificare i governi italiani che si sono succeduti negli ultimi tre anni. Lo schiaffo appena ricevuto in pieno volto da Matteo Renzi – che, al suo solito, presuntuosamente aveva creduto di poter risolvere l’annosa vicenda attraverso un semplice colloquio con il suo omologo indiano – non è che l’ultima di una serie di offese e pessime figure che sono iniziate nel febbraio del 2012, quando il Presidente del Consiglio era Mario Monti, e sono proseguite da allora con ben tre Premier: Letta e Renzi e quattro ministri degli Esteri, Terzi, Bonino, Mogherini e, da ultimo, Gentiloni.

Certo, l’ultima beffa indiana arriva mentre Renzi guida il semestre di presidenza europeo e la Mogherini siede sulla poltrona di Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, ma non bisogna dimenticare che il pasticcio nasce all’alba di quel governo tecnico guidato da Mario Monti che, arrivato per salvare l’Italia dal baratro, s’è dimostrato del tutto inadatto alle circostanze del caso. Fu proprio l’inadeguatezza di un governo di dilettanti, per giunta ancora non del tutto ambientati nella cabina di comando, la prima causa dell’arresto dei nostri due fucilieri. Sono infatti convinto che un governo politico, o lo stesso governo Berlusconi, appena pochi mesi prima drammaticamente decaduto, non avrebbe commesso quei primi, fatali errori.

Il comandante della nave non sarebbe stato abbandonato privo di repentine e chiare istruzioni da Palazzo Chigi, dal ministero degli Affari esteri e da quello della Difesa. I Servizi italiani – come ben sanno fare – avrebbero svolto il loro compito seguendo una catena di comando già funzionante e sperimentata. Fu invece, così, che nel vuoto istituzionale di quella paradossale circostanza, il comandante della petroliera battente bandiera indiana “Enrica Lexie” – comprensibilmente preso dal panico – seguì le istruzioni impartite dal suo armatore il quale, piuttosto che perdere nave e carico, preferì ordinare di mettere la prua in porto e consegnare alle autorità indiane e al loro destino Latorre e Girone.

Le tradizionali procedure politico-diplomatiche messe in atto una volta “fatta la frittata”, si sono dimostrate poi tanto macchinose e vischiose da rivelarsi un vero pantano. Ma non solo: se fin dall’inizio in India nessuna autorità fu disponibile al dialogo (anzi, cominciarono a venir fuori una serie di strane questioni legate a forniture di elicotteri da parte di Finmeccanica e le solite storie di tangenti intascate da politici locali), in Italia i ministri e il Presidente del Consiglio finirono per litigare sul da farsi, fino alle dimissioni (con tanto di sceneggiata in Parlamento) dell’allora ministro degli Affari esteri, Terzi, che fiutò di essersi messo in un ginepraio politico senza fine e di essere isolato sulla linea dura che, a un certo punto (guarda caso proprio mentre il suo profilo si faceva sempre più politico), avrebbe voluto seguire.

Fu dunque la volta di Letta e della Bonino che puntarono su un arbitrato internazionale, fatalmente complesso e lento, inspiegabilmente affidato ad avvocati internazionali, come se da noi in Italia non ci fosse un legale di rango e come se al ministero degli Affari esteri non esistesse un ufficio deputato a tali controversie.

Poi fu la volta di Renzi (la Mogherini, “povera stella” non ebbe mai tanta voce in capitolo: alla Farnesina ci si trovò per far dispetto a Napolitano), che stoppò e poi riprese la via segnata dal suo predecessore, in un mix di azione diplomatica maldestra e fumoso lodo internazionale perseguiti col suo stile buono per il mercato di San Lorenzo a Firenze, non certo per i tavoli internazionali.

Eppure, pochi lo sanno: esiste, evidentemente inascoltato e forse letto molto tardivamente dagli abitanti di Palazzo Chigi, un dossier a firma Franco Frattini – ultimo ministro degli Affari esteri italiano istituzionalmente e culturalmente degno di questa carica (al di là di ogni giudizio politico che ognuno vuol dare sull’operato del governo di cui fece parte) – nel quale si sconsigliava vivamente e con molte argomentazioni l’impiego di nostri soldati sulle navi al largo dell’India, perché un eventuale scontro a fuoco avrebbe creato problemi di giurisdizione. È stata la decisione di disattendere le indicazioni del precedente governo Berlusconi, l’ultimo governo politico eletto dal popolo italiano, insomma, a innescare il meccanismo dei negoziati trasversali e dei colpi di mano.

 

(*) Tratto da Notapolitica

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:25