La lezione impartita  dalla “Scuola di Atene”

La novità che la Grecia ci regala non è la vittoria elettorale del partito “Syriza”, ampiamente pronosticata dagli analisti politici, ma il fatto che il suo leader, Alexis Tsipras, abbia impiegato pochi minuti a fare un accordo di governo nientemeno che con la destra nazionalista e antieuropea dei “Greci indipendenti” di Anel.

Non si tratta di una svista. Piuttosto la nuova alleanza traduce in atto il disvelamento di una verità che in Europa cova da tempo, ma che l’establishment comunitario si ostina a ignorare. In alcuni Paesi della zona euro la crisi di senso, causata dalla perdita di coesione sociale, ha avuto impatto sugli equilibri politici tradizionali. Viene di pensare che dopo la scorsa domenica le categorie ideologiche di destra e sinistra abbiano perso di significato. Non si scorge più una linea di demarcazione che separi nettamente i progressisti dai conservatori. Ormai la partita si gioca tra liberisti e comunitaristi. E la frattura va sempre più radicandosi, anche per responsabilità di chi – è il caso della Germania – non ha mostrato alcuna duttilità nella ricerca di vie mediane per scongiurare il rischio della contrapposizione frontale tra i due modelli di sviluppo.

Nessuna meraviglia, dunque, se ad ascoltare Alexis Tsipras che parla di dignità e orgoglio del popolo greco, sembra di udire un capopopolo nazionalista e non un campione della sinistra vecchia maniera. Sono i radical chic di casa nostra che spacciano il greco per un avatar della sinistra italiana. Insomma, un composto a metà strada tra Vendola, Fassina e Civati. In realtà, Tsipras è più un comunitarista che, si perdoni l’ossimoro, un comunista illuminato. I compagni “birra e salsiccia” sono troppo immersi nella retorica di un passato smarrito tra i tavolacci delle feste de “L’Unità” per comprenderne la differenza.

Nessuna meraviglia allora se anche Marine Le Pen, leader europea della destra radicale, abbia gradito il successo della sinistra di Syriza. Di là dalle connotazioni ideologiche essi propongono rimedi molto simili, sebbene mantengano non poche e sostanziali differenze. Nonostante ciò fra di loro vi è meno distanza di quanta vi sia con un Matteo Renzi che, fuori dalle sparate a effetto, resta totalmente organico al modello di sviluppo incardinato nella visione germanocentrica dell’Europa. Ciò è vero a sinistra quanto lo è a destra. Più volte abbiamo detto che le aggregazioni all’interno dell’attuale campo del centrodestra non erano più sommabili. Gli eventi della scorsa domenica lo confermano. Vi è un abisso che separa il progetto della Lega da quello dei fautori del moderatismo. In parte lo si è visto con la storia del referendum per l’abrogazione della “Legge Fornero”.

Sull’iniziativa della Lega vi è stata la confluenza della Cgil, e ancor più della Fiom di Landini, mentre Alfano, Casini e i “liberali” di Forza Italia si sono rifugiati in un eloquente silenzio. Il modello greco, dunque, è destinato a riprodursi anche in altri contesti. Il primo potrebbe essere la Spagna, che andrà alle urne il prossimo autunno. In quel caso la forza trainante antisistema potrebbe essere quella del movimento “Podemos”. Poi toccherà, a ruota, alla Francia e all’Inghilterra. Se la crisi continuerà a picchiare duro il trionfo, a questo punto scontato, dei movimenti neo- comunitaristi potrebbe provocare un’onda lunga destinata a travolgere quasi tutta la politica italiana. Tuttavia, non sarà il movimento di Grillo a cavalcarla per il semplice motivo che i Cinque Stelle hanno dimostrato, oltre l’attitudine alla protesta sterile, di non avere chiaro in mente un progetto di futuro sostenibile da proporre al Paese.

Toccherà a Matteo Salvini salire sulla tavola da surf per provare a stare sulla cresta dell’onda. Da solo. Per paradosso, facendo tesoro della lezione della “Scuola di Atene”, non farebbe scandalo se su alcuni provvedimenti di forte impatto sociale la Lega potesse raccogliere il sostegno dei “quattro amici al bar” rifondaroli di Paolo Ferrero o dei comunisti pulviscolari di Marco Rizzo. E della Fiom. Chi vorrà sopravvivere dovrà al più presto prendere atto della mutazione genetica delle vecchie categorie del “politico”. Altrimenti rischia la stessa dannata sorte del Milan di Inzaghi e Berlusconi: vincere sulla carta e perdere sul campo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12