In Libia arriva la nostra flotta

martedì 3 marzo 2015


Finalmente una buona notizia! Il ministero della Difesa ha disposto l’invio, a ridosso delle acque territoriali libiche, di un gruppo navale della nostra flotta, ufficialmente per effettuare manovre d’addestramento. In realtà si tratta di un primo passo verso l’intervento diretto in zona di guerra.

Restare ancora fermi non si poteva. Troppo pericoloso. Gli jihadisti, che stanno combattendo sotto diverse bandiere, hanno un comune obiettivo strategico: colpire l’Italia come anello debole della catena occidentale. I target e le modalità per farlo possono essere diversi. Tra gli obiettivi sensibili vi è senz’altro il terminale petrolifero di Mellitah che assicura il rifornimento di gas all’Italia attraverso il “Green Stream”.

Bloccare il flusso energetico verso la Sicilia significherebbe mettere in ginocchio il nostro sistema produttivo. La priorità della difesa del sito spiega la presenza alle manovre della nave da sbarco San Giorgio sulla quale sono imbarcati marò del reggimento San Marco e incursori del Comsubin. Non si tratta di un contingente completo da far pensare a una forza da sbarco, piuttosto di un limitato nucleo operativo che potrebbe compiere operazioni di guerra non convenzionale a difesa delle installazioni petrolifere.

Ma il pericolo maggiore è che l’infezione jihadista si propaghi all’intera area. Non dimentichiamo che a ovest di Tripoli vi è il confine con la Tunisia. Immaginiamo per un momento che nella parte meridionale della Tunisia avvenga la saldatura tra jihadisti autoctoni, truppe affiliate al califfato in arrivo dalla Libia e bande di fondamentalisti provenienti dalla vicina Algeria. In breve tempo al-Baghdadi avrebbe a disposizione una consistente forza d’urto da impiegare contro obiettivi italiani ben più vicini delle attuali 250 miglia che separano la Tripolitania dalla costa siciliana. Quando i propagandisti dell’Is minacciano di colpire l’Italia non specificano quale parte di essa. Anche una nave mercantile battente il tricolore è territorio italiano. Se si considera l’immenso traffico commerciale che transita per il collo di bottiglia del Canale di Sicilia, è facile intuire che natanti veloci, magari gommoni a chiglia rigida, con pochi uomini armati di lanciagranate a spalla (Rpg) potrebbero giocare al tiro al piccione con il nostro naviglio. La sola idea che ciò possa accadere mette i brividi. È dunque indispensabile che oltre alle manovre del gruppo navale sia potenziata l’attività di difesa aerea, già assicurata dai caccia intercettori “Eurofighter 2000” del 37° Stormo della nostra Aeronautica militare, di stanza a Trapani. Certo, l’Italia non può fare tutto da sola. Ha bisogno di sostegno. Che questo possa giungere dalla Nato e dagli americani se lo scordino gli inquilini del governo. Barack Obama non ne vuole sentire parlare. In più occasioni ha fatto capire a Renzi che ce la dobbiamo sbrigare da soli. Se è così perché non sfruttare la presenza russa nel Mediterraneo? Ormai Mosca può contare su più basi navali oltre quella di Tartus in Siria. Unità della Flotta del Mar Nero sono in Egitto, ad Alessandria, e, per gli accordi recentissimi stipulati con il presidente cipriota Nicos Anastasiades, si preparano a gettare le ancore nei porti dell’isola del Mediterraneo orientale. In queste ore Renzi ha fatto sapere che andrà da Putin per parlare della Libia. Benissimo. Perché allora non ripristinare il programma d’addestramento congiunto “Ioniex” tra la Marina italiana e quella russa, incomprensibilmente interrotto dopo il 2012? Il programma, che vide la luce nel 2004 grazie a una felicissima intuizione del governo Berlusconi, si prefiggeva di fronteggiare scenari identici a quello che si sta materializzando in Libia.

Non sarebbe anche un gran bel segnale politico tornare a fare qualcosa di utile insieme alla Federazione russa? Ce lo possiamo permettere o dobbiamo temere l’ennesimo “nein!” della signora Merkel? Siamo o non siamo l’Italia, una e indivisibile, indipendente e sovrana?


di Cristofaro Sola