Manipolazione economica per il golpe del 2011

Con la manipolazione del mercato in Italia, nel 2011, è stata influenzata, “maneggiata” e gestita la politica italiana. Nel 2011 è stato infatti artatamente abbassato il rating del nostro Paese ed è stato riscosso il tesoretto di 2,6 miliardi da parte della banca d’affari statunitense Morgan Stanley, pagato dall’allora governo non eletto di Mario Monti con il decreto “Salva Italia”. Ciò è stato fatto nonostante vi fosse un procedimento giudiziario in corso, sollevato da Trani contro l’agenzia di rating Standard & Poor’s accusata di manipolazione del mercato, imputata di illegittimità e della poca trasparenza del suddetto declassamento speculativo operato in danno dell’Italia.

I contratti in derivati sono strumenti utili che possono rivelarsi molto pericolosi, perché, invece di ridurre il rischio, possono aumentarlo. Si tratta di una sorta di strumenti assicurativi misti a scommesse. Lo stato italiano ha siglato molti contratti in derivati, alcuni con la clausola in base alla quale la controparte può attivare l’opzione di incasso anticipato del valore del derivato. Il contratto in derivati per cui Morgan Stanley ha azionato la suddetta clausola risale al 1994, stipulato allora per l’Italia dal ministro del tesoro del governo di Carlo Azeglio Ciampi Paolo Barucci e direttore generale del dicastero Mario Draghi. Morgan Stanley è passata all’incasso nel gennaio 2014, nel momento cioè di massima crisi politica ed economica dell’Italia, ovvero quando si è premuto per l’abbandono del governo Berlusconi eletto dagli italiani per insediare governi non eletti, illegittimi, quali quelli di Monti, Letta e Renzi. Il declassamento dell’Italia da parte di S&P è stato illegittimamente operato e il ministero dell’Economia, guidato dall’allora premier imposto da Napolitano, Mario Monti, si è affrettato a pagare alla quella stessa banca, la Morgan Stanley, la quale faceva parte proprio dell’azionariato dell’agenzia di rating S&P che ha declassato l’Italia. Si è trattato di un enorme conflitto d’interessi, dato che Morgan Stanley era allora tra gli azionisti di McGraw-Hill, gigante dell’informazione che controlla proprio Standard & Poor’s.

Le due agenzie di rating sono state accusate di aver manipolato il mercato generando il panico e alimentando speculazioni ai danni dell’Italia. Declassandoci hanno infatti causato il ribasso senza precedenti e portato lo spread tra i Btp e i Bund tedeschi ai massimi mai visti. E proprio in seguito al downgrade, Morgan Stanley, che possedeva parte di Standard & Poor’s, ha deciso di fare valere la clausola che obbligava l’Italia declassata a “sborsare” i 2,5 miliardi di euro.

È bene sapere che le opzioni di estinzione anticipata contenute nei contratti in derivati trasformano immediatamente una perdita contabile in un esborso di cassa, e tuttora sono in vigore contratti in derivati siglati dall’Italia che danno alle controparti questa medesima opzione nel caso di abbassamento del rating dell’Italia al 2016, clausola, come si è visto, particolarmente pericolosa per il nostro Paese. L’Italia ha oggi miliardi in contratti in derivati e, nel caso dei derivati sottoscritti dagli enti locali, non se ne conosce attualmente neanche il valore di mercato.

Ci si interroga tuttora e sono in corso le indagini della magistratura sul perché il contratto Morgan Stanley non sia stato rinegoziato prima della “riscossione” della controparte, o del perché tale rischio non sia stato monitorato e valutato prima, o sul perché, dopo l’estinzione anticipata esercitata dalla banca d’affari proprio in quel momento, durante cioè la crisi dell’Italia, il ministero italiano del Tesoro abbia continuato a lavorare con Morgan Stanley, così come succede tuttora. È ipotizzabile cioè un’evidente omissione e un abuso d’ufficio dato che non è stata svolta alcuna corretta analisi dei rischi sottostanti ai contratti sottoscritti, e un probabile abuso a riprova del fatto che i contratti sottoscritti dal Tesoro sarebbero in realtà prestiti camuffati da derivati, prestiti mai approvati dal Parlamento italiano né correttamente iscritti nelle finanziarie dei vari anni “mascherati” sotto la voce “spesa per interessi”. In pratica si sono fatti quadrare i conti truccando i bilanci dagli anni Novanta ad oggi. La contrattazione e la stipula dei contratti in derivati è gestita di fatto senza troppo dire o dare conto ai cittadini contribuenti italiani.

Rimangono senza risposta alcune questioni fondamentali, quali ad esempio chi ne sia il responsabile di quanto viene deciso e posto in essere, come soprattutto ne risponda in caso di errore, e in base a cosa si possa mettere a rischio il nostro Paese arricchendo le banche d’investimento che, una volta lucrato, per “sdebitarsi”, assumono gli stessi ex funzionari del Tesoro, o perché un governo non eletto quale è stato il governo Monti abbia arricchito Morgan Stanley con i soldi dei contribuenti italiani dopo e conseguentemente all’“epurazione” del governo eletto Berlusconi.

Per capire meglio i dubbi sui contratti in derivati stipulati e su come la gestione del debito italiano non sia ispirata a prudenza, si consideri inoltre che i derivati detenuti attualmente dal tesoro non sono “prezzati” ai valori di mercato perché le perdite evidenziate sono ritenute puramente contabili e si ritiene, auspicandolo, che si riassorbano quando le condizioni di mercato, saranno “normalizzate”. In pratica si tende a “giocare” con una gestione del debito imprudente fondata su previsioni ipotetiche future. È necessario fare chiarezza nell’interesse di tutti sulla opacità della gestione del debito pubblico italiano, e sulle connessioni esistenti ed esistite con le controparti, sui conflitti di interesse e le potenziali connivenze, tenuto presente la totale irresponsabilità e anomia di chi gestisce, amministra e dispone per tutti.

In un Paese quale è il nostro in cui prevalgono statalismo e burocrazia, dove cioè non prevale il merito ma prosperano divieti e permessi di ogni genere, conflitti di interessi, approfittamento, furberie, magheggi, ruberie, corruzione e clientelismo in genere risultano essere la norma. In una economia libera, di mercato, avrebbero poca presa perché non sarebbero convenienti. Nell’opacità c’è molto statalismo e poca trasparenza, nessuna convenienza per l’Italia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11