La lezione che arriva   dalla sentenza Kercher

Sulla credibilità internazionale del nostro sistema giudiziario, la conclusione del processo Meredith ha lo stesso effetto che la pubblicazione de “Le mie prigioni” di Silvio Pellico ebbe nei confronti dell’Impero Austro-Ungarico: più devastante di una battaglia perduta!

Agli occhi dell’opinione pubblica americana, un’assoluzione che giunge dopo otto anni segnati da cinque giudizi dagli esiti contrastanti appare come una barbarie degna non di un Paese che è stato la culla del diritto, ma di un Paese dove il diritto è stato cancellato. Per l’opinione pubblica inglese registrare che dopo otto anni non è stato possibile accertare neppure uno straccio di verità processuale (una sentenza sostiene che Meredith è stata uccisa da Guede in concorso con altri, ma la Cassazione ha sancito che questi altri non sono Amanda e Raffaele) è una barbarie addirittura maggiore di quella percepita negli Stati Uniti.

Una così gigantesca ondata di discredito per il nostro sistema di giustizia dovrebbe spingere il governo e le forze politiche italiane a correre rapidamente ai ripari. Non per inguaribile provincialismo, ma per necessità. Chi pensa che dall’estero possano giungere investimenti produttivi e non di rapina per un Paese segnato da una così evidente incertezza della giustizia è un povero e pericoloso illuso!

Il caso Meredith, che è una sorta di concentrato dei vizi e dei difetti del sistema giudiziario, dovrebbe trasformarsi nell’occasione per dare una sollecita risposta ai problemi sul tappeto. Dagli eccessi della carcerazione preventiva all’ossessione colpevolista della pubblica accusa sostenuta dai media compiacenti, dalla separazione delle carriere ed al ritorno ad una magistratura che giudica le indagini e non le guida, alla riforma dell’appello con l’esclusione dei ricorsi contro le sentenze di assoluzione.

Invece, nulla di tutto questo. Ma l’esatto contrario. Cioè le pressioni di una parte della magistratura e dei settori più giustizialisti dell’opinione pubblica per una serie di provvedimenti slegati tra di loro, ma tutti rivolti ad accentuare al massimo i poteri discrezionali e repressivi dei pubblici ministeri ed a ridurre al minimo i diritti individuali e le garanzie dei cittadini.

Le prescrizioni lunghe sono destinate a produrre processi interminabili, le intercettazioni senza limiti servono ad alimentare all’infinito la gogna mediatica. Ma, soprattutto, il ricorso al modello della legislazione emergenziale antimafia per combattere una corruzione pubblica che si riduce solo riducendo il “pubblico”, non può non produrre come effetto ultimo la sostituzione dello stato di diritto con lo stato di polizia gestito dai pm.

Mai come oggi, allora, serve una battaglia garantista. Per la libertà ma anche, e soprattutto, per la ripresa della società italiana!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:18