Nuova inchiesta, roba vecchia

L’inchiesta ischitana, se confermata in sede di giudizio, prova soltanto l’esistenza dell’acqua calda. Non ce ne vogliano gli inquirenti, ma non c’è nulla di cui scandalizzarsi per la “roba” che sta venendo a galla.

Ancora una volta è una Coop nel mirino degli inquirenti. I suoi dirigenti avrebbero pagato mazzette per garantirsi l’appalto della metanizzazione dell’isola. E dov’è la novità? Qui non si tratta di pescare le mele marce dal cesto e metterle da parte. È il cesto il problema. Prendersela con i singoli amministratori di imprese cooperative appare financo ingeneroso visto che c’è un verminaio di cui tutti nel mondo della politica conoscono l’esistenza ma che nessuno ha avuto il coraggio, e l’interesse, di scoperchiare. Anzi, a dirla tutta, lo scandalo ischitano è l’onda di risulta che viene da lontano. Dai tempi di Tangentopoli. Allora gli inquirenti si spesero per rivoltare l’Italia come un calzino, dimenticando che i calzini si vendono in coppia. Quello che copriva il piede sinistro fu inspiegabilmente dimenticato.

Se fossimo giustizialisti, e non lo siamo, dovremmo suggerire agli inquirenti di adottare con il signor Antonio Di Pietro lo stesso metodo investigativo che lui sperimentò sulla pelle degli indagati dell’epoca. Bisognerebbe sbatterlo in galera e lasciarcelo fin quando non faccia il nome di colui che impartì l’ordine alle procure di fermarsi sull’uscio di “Botteghe oscure” senza andare oltre. Chi dispose che determinate indagini sull’allora Pci non dovessero essere svolte? Chi impedì al sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano, Tiziana Parenti, di esplorare il filone dei fondi arrivati dalla Germania Est attraverso il canale delle cooperative rosse? Fu l’allora procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio, divenuto successivamente senatore dei Ds, a dire a “Titti la rossa” di lasciar perdere perché l’inchiesta sul Pci “era un vagone staccato”? Carlo Nordio, magistrato veneto di ottima reputazione e noto galantuomo, ha dichiarato testualmente, in un’intervista concessa al Quotidiano Nazionale in occasione del ventennale di Mani pulite: “Trovammo che il Pci-Pds godeva del finanziamento indiretto e continuo da parte della Lega delle cooperative, tant’è che il signor Fontana, dirigente veneto di Legacoop, patteggiò la pena”. Non si volle andare a fondo perché vi era un disegno politico che consegnasse l’Italia alla gioiosa macchina da guerra messa in piedi dal Pds e vigilata dagli esponenti di Magistratura Democratica, nel frattempo autoproclamatisi guardiani della morale repubblicana. Il piano venne poi messo in crisi dall’inaspettata comparsa sulla scena politica di Silvio Berlusconi.

Oggi non è cambiato granché. Invocare il ritorno a una stagione di indagini a strascico è roba da giustizialisti. Non è utile. Tuttavia, se il premier Renzi fosse in buona fede dovrebbe essere lui a proporre che il Parlamento istituisca una commissione d’inchiesta per fare luce sui rapporti tra mondo cooperativo e partiti politici, offrendo un’opportunità alla nemesi storica. Non lo farà perché il suo interesse si limita alla rottamazione della vecchia guardia per prenderne il posto in cabina di comando.

Ne sa qualcosa D’Alema, che in queste ore, dà di matto per essere stato chiamato in causa nella vicenda ischitana. Vini e libri comprati in cambio di amicizia. Niente di illegale, ma quanto basta per seppellirlo politicamente. Lui non ci sta. È a dir poco patetico nelle reazioni. Si crede ancora intoccabile. Ma di che si lamenta? Pianga se stesso se è vittima di quei mezzi di distruzione morale degli avversari, messi a punto e affinati nelle medesime stanze del potere rosso che l’hanno accolto e vezzeggiato come il cucciolo di talento della nidiata. Sic transit gloria mundi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14