L’invasione e la guerra al grande schiavismo

Al momento sono circa settantamila i profughi provenienti dalla sponda Sud del Mediterraneo che si trovano nei centri d’accoglienza del nostro Paese. Ma questa cifra, già altissima e che sta facendo scoppiare le strutture dove i migranti vengono alloggiati, è destinata ad aumentare rapidamente. I calcoli più prudenti dicono che da oggi all’estate potrebbero arrivare sulle coste italiane alcune centinaia di migliaia di disperati. Quelli più inquietanti parlano di un milione di profughi presenti in Libia e pronti ad essere deportati in Italia dai nuovi schiavisti.

Matteo Renzi è troppo impegnato a piegare ed umiliare la minoranza interna del suo partito per fornire una dimostrazione del suo proverbiale decisionismo su questo problema. Ma, a dispetto delle priorità del Premier, l’invasione è in atto. Nelle prossime settimane ad esplodere non saranno solo i centri d’accoglienza, insufficienti non per colpa di qualcuno ma per le dimensioni gigantesche del fenomeno. Insieme alle strutture inadeguate, ad esplodere saranno gli enti locali chiamati a svolgere compiti inattesi e privi di copertura finanziaria, le forze politiche pervase da inarrestabili impulsi alle opposte strumentalizzazioni e la stessa maggioranza della popolazione italiana sottoposta ad un trauma reale non più gestibile con il placebo del buonismo di facciata.

Si può intervenire non per impedire ma, almeno, per gestire questo fenomeno portatore di tensioni insopportabili nel tessuto politico e sociale del Paese? Si può. Ma solo a condizione di capire che ogni iniziativa umanitaria passa inevitabilmente non solo sull’aiuto materiale ai disperati ma anche, e soprattutto, sulla lotta senza quartiere a chi li ha schiavizzati e punta su di loro non solo per arricchirsi ma anche per portare avanti i propri disegni di conquista.

Questa lotta senza quartiere non si realizza con i buoni propositi ma con le iniziative concrete. Il ministro degli Esteri Gentiloni ha ipotizzato azioni antiterrorismo in Libia per favorire la stabilizzazione del Paese. Ma queste azioni non vanno solo ipotizzate, vanno realizzate al più presto. E vanno soprattutto indirizzate a colpire gli schiavisti che sfruttano il traffico di uomini, donne e bambini per finanziare le loro azioni terroristiche. Non ci vuole una particolare azione di intelligence per immaginare che le bande terroristiche presenti in Libia controllino e si spartiscano i proventi del nuovo schiavismo. Sono queste bande che vanno colpite. Per combattere terrorismo e schiavismo in nome dei diritti umani.

Basta questa motivazione per intervenire in Libia prima di dover intervenire in Italia?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:16