Lo Stato evanescente e il Governo imbelle

Lo Stato evanescente fa il Governo imbelle. E viceversa. Prendiamo la questione della legalità. Sembra, in Italia, che tale questione riguardi la mafia, la corruzione, gli omicidi, purché di risonanza mediatica. Mentre non riguarda il rispetto quotidiano della legge e dell’ordine sotto la legge.

L’illegalità è così diffusa, generalizzata, tollerata, che viene considerata da reprimere solo quando un suo apice raggiunge il parossismo. I casi sono davvero troppi per essere ricordati. Citiamo, per esempio, la delinquenza di strada, i “portoghesi” dei trasporti pubblici, il danneggiamento dei beni comuni, l’occupazione delle case, i furti, le truffe. Delitti e contravvenzioni quasi mai perseguiti anche quando denunciati. Ma ormai quasi mai denunciati, tanto è inutile. Di recente, anzi, dal Governo depenalizzati di fatto, con il pretesto (udite, udite!) di decongestionare la giustizia, come se la giustizia fosse facoltativa. Rubricati spesso come microcriminalità o crimini di necessità, questi reati non interessano lo Stato, ma soltanto chi li commette e i cittadini che ne sono vittime. Da che mondo è mondo, il rispetto della legge comincia dalla repressione delle piccole illegalità, che incrementano le grandi come la radice sviluppa l’albero. La tolleranza dell’illegalità è il più potente incentivo della sua crescita. Quando la legge dello Stato si ritira, conquista terreno la legge del più forte, cioè la violenza, l’intimidazione, il controllo silenzioso e pervasivo dei prepotenti sui deboli e indifesi, e l’arbitrio, per cui ognuno fa quel che vuole anziché quel che deve.

Fin qui, l’illegalità e il disordine prodotti dallo Stato “per omissione”. Poi esistono illegalità e disordine prodotti sempre dallo Stato ma “per commissione”. E qui la parte la fa il Governo. Un Governo imbelle, che sta seminando il vento della tempesta che lo abbatterà. È dal lontano 2 luglio 2014 che sul Corriere della Sera ho proposto di distruggere, mediante azioni di commando, i barconi vuoti sulle coste libiche di partenza. Ne abbiamo gli uomini e i mezzi, e il diritto di farlo. Come i negrieri d’un tempo, gli scafisti sono parte di un’industria, che prospera con la connivenza e la cointeressenza delle autorità (cosiddette) locali e delle bande del posto. Le lacrime dei politici, dei benpensanti (quorum prima Boldrini), dei preti sono lacrime di coccodrillo. Un Governo che non solo non scoraggia né frena la migrazione, ma anzi la stimola facendo il massimo per ridurre il rischio della traversata, che già non spaventa i migranti, prepara e fomenta il disordine interno perché semina tra la popolazione il fondato timore che l’arrivo in massa dei disgraziati non è affatto un’emergenza eccezionale ma un fenomeno stabile e inarrestabile, destinato a durare e a sovvertire, per numeri e differenze culturali, la convivenza civile. Questo Governo, irresoluto come i precedenti, favorisce oggettivamente la brutalità e l’ingordigia degli scafisti, a danno degli sfruttati, fino al punto di non rispondere con le armi alle intimazioni dei banditi di restituire qualche battello sequestrato! Due domande al Governo: perché si riduce ad aspettare le sollevazioni dei municipi contro l’insediamento forzato degli immigrati? A che servono i corpi speciali delle nostre Forze armate se non a colpire i nemici che mettono a repentaglio la comunità nazionale?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11