Orlando si fa bello con i Radicali

Gli ingredienti della messinscena pseudo-buonista sono semplici: si convocano “gli stati generali delle carceri”, dizione slogan che in realtà ricorda la rivoluzione francese con le successive decapitazioni, in un penitenziario modello come quello di Bollate, praticamente l’unico in tutta Italia, si invitano Marco Pannella, Rita Bernardini e i Radicali che sono gli unici che in Italia fanno qualcosa per i detenuti, si invitano anche eminenti sociologi, garanti per i detenuti e un po’ di parterre vip tipo Dario Fo, e così il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, si rifà a modo suo un po’ della verginità persa negli ultimi tempi. In materia di giustizia e dintorni. Tra decreti che promettono, ma non erogano, 8 euro al giorno ai detenuti che abbiano subìto la carcerazione in spazi angusti, meno di tre metri quadrati anche se non si è ancora capito se va considerato o meno lo scarno mobilio di una cella, narrazioni fantasiose di miglioramento delle condizioni delle patrie galere ed espedienti burocratici da usare in Europa per evitare entro un mese una nuova, possibile condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu).

In Italia le cose funzionano così: massima ipocrisia buonista e minime concessioni sostanziali. Ancora non si è riuscito a risolvere il nodo della Fini-Giovanardi, dichiarata incostituzionale in toto, per l’equiparazione penale delle droghe leggere a quelle pesanti, con diecimila persone che attendono un incidente di esecuzione per il ricalcolo della pena e che però se non potranno permettersi un avvocato aspetteranno in carcere fino alla fine della pena dichiarata incostituzionale, e già il ministro ha messo in piedi la campagna di primavera per ripulirsi, a prezzi modici, la coscienza politica. Tanto l’amnistia e l’indulto non si faranno mai e i Radicali vengono strumentalizzati per queste occasioni come fiore all’occhiello di un vestito che però è sporco e lacerato.

Nelle carceri si continua a morire ed a suicidarsi, anche tra gli agenti di polizia penitenziaria, semplicemente perché sono una discarica sociale. Sia per i detenuti sia per i lavoratori che vi operano. Ci si attacca ai tre metri quadrati della sentenza Torreggiani di oltre due anni orsono, fu infatti emessa dalla Cedu l’8 gennaio del 2013, ma non si dice che quello è il criterio del minimo sindacale. Quando quelli dell’Onu sono venuti a monitorare le nostre luride galere, la prima cosa che è saltata loro agli occhi è che lo spazio in cui si cucina e si lavano i piatti è lo stesso in cui tre o quattro, ma anche sei o sette persone, sono costrette ogni giorno ad orinare ed a defecare. Cucina con vista sulla tazza del cesso. Quando la tazza c’è. In un carcere non può esistere in Italia un bagno separato dalla cucina e anche le tazze, come si accennava, non abbondano (non parliamo dei bidet), perché tutto è ancora sul modello punitivo che sta nei nomi stessi dei penitenziari italiani: Ucciardone, le Mantellate, Regina Coeli, Poggioreale. Strutture medioevali e concetti mentali di punizione con la galera a tutti i costi e per tutti. Concetti peraltro alimentati quotidianamente da telegiornali, talk-show, giornali e programmi di pseudo-approfondimento. Che usano la cronaca nera per fare audience. Come i fumetti del terrore della nostra gioventù. Un vero inferno. In compenso, poi, ci si accontenta di una passerella ogni due o tre anni in un carcere modello tipo Bollate come lavacro di questa vergogna nazionale.

Convegni dove tutti fanno finta di credere che questo sarà un passo in avanti per un futuro radioso. Mentre ancora da noi la gente in carcerazione preventiva è costretta e lo sarà ancora per un pezzo ad aspettare il proprio processo (e nel 40 per cento dei casi la propria assoluzione), gettata in questo inferno di sangue e merda che neanche Dante, Averroè ed Aristotele messi insieme avrebbero mai potuto immaginare o descrivere. Fossi stato nei Radicali mi sarei rifiutato di prendere parte a questa messinscena. Ma posso sempre sbagliarmi.

 

@buffadimitri

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:10