I diritti e la democrazia autoritaria

La strada per la democrazia autoritaria passa attraverso la domanda su quali e quanti diritti un Paese si può permettere in un tempo di crisi. Chi se lo chiede ha già dato la sua risposta. Che è quella che si è già sentita e vista nel corso della storia del nostro Paese (ed anche di altri), secondo cui la presenza della crisi giustifica ampiamente la selezione dei diritti da ridurre se non, addirittura, da eliminare. Il caso della sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni ingiustamente tagliate dalla legge Fornero è più che significativo. Non appena è apparso evidente che la tutela piena dei diritti dei pensionati lesionati da una legge non solo incostituzionale ma anche desolatamente fatta con i piedi, è immediatamente scattata la sinfonia dei sostenitori della necessità, in tempo di crisi, di non tenere conto di quei diritti che possono incidere in qualche modo sui programmi che il Governo ha varato per affrontare la crisi stessa.

Questa sinfonia è piena di argomentazioni ridicole e pretestuose. Come quella che la tutela dei diritti dei pensionati incide sul diritto al lavoro delle giovani generazioni. Che sorvola sulla circostanza che sono proprio i redditi sempre più ridotti dei pensionati a svolgere la funzione di ammortizzatori sociali per quei tanti giovani a cui il Governo non sa creare prospettive di lavoro serio e duraturo. Oppure come quella ancora più odiosa secondo cui sarebbe giusto, equo e sacrosanto non rimborsare neppure mezzo centesimo alle pensioni superiori ai 3200 euro lordi, che sarebbero poco più di 1700 euro netti, perché oltre questa cifra si estende il territorio dei più biechi privilegi concessi negli anni passati da quel sistema che usava lo strumento pensionistico per alimentare le proprie clientele elettorali. Come non si sapesse che nelle grandi concentrazioni urbane molte delle cosiddette “pensioni d’oro” garantiscono appena la sopravvivenza degli anziani. E, soprattutto, come se si ignorasse che la politica delle pensioni usate per il voto di scambio è stata realizzata consociativamente nei confronti delle fasce più deboli della società che non avevano avuto la possibilità di pagare contributi adeguati.

Se una sinfonia del genere si risolvesse semplicemente in un sostegno acritico al Governo Renzi non ci sarebbe nulla da preoccuparsi. Il conformismo nei confronti di chi è al potere è una costante ricorrente nella storia italiana in generale ed in quella dell’informazione italiana in particolare. Ma la faccenda non si ferma al soffietto, alla giustificazione, alla semplice mistificazione della realtà. Per compiacere l’“uomo solo al comando” si va oltre. E si incomincia a teorizzare la piena legittimità della riduzione dei diritti in nome dei superiori interessi dello Stato nei periodi di crisi. Cioè si spiana la strada a quella democrazia di tipo autoritario che nel nostro Paese è già sfociata una volta in un sistema totalitario.

Si tratta di una preoccupazione eccessiva? Niente affatto. Si tratta di considerazione fondata sulla memoria storica. Che trova fin troppi riscontri nelle vicende politiche del momento segnate dall’arrogante avvento di un nuovo Uomo della Provvidenza che dovrebbe salvarci dalla crisi, ma che rischia di condurci nel baratro dove già siamo finiti nel passato.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:18