La prevalenza del cretino fiscale

In passato Sergio Ricossa, anche sulla scorta degli altri maestri di liberalismo, scriveva spesso che qualsiasi imbecille è capace di inventare un nuovo tributo o di incrementarne uno esistente. Oggi possiamo aggiungere che a tale categoria di imbecilli (governanti, tecnici, professori, politicanti) escogitatori di nuove entrate tributarie deve essere aggiunta la variante federalistica o localistica. Che dice l’imbecille della Capitale, che scorazza tra i palazzi del potere romano? Almeno due frasi comiche. La prima: “Non ho messo le mani nelle tasche degli italiani”. La seconda: “La pressione fiscale è invariata”. Due menzogne da punire penalmente alla stregua di una falsa testimonianza, se fosse irrogabile la galera per le bugie dei politici. Infatti, da decenni, Prima o Seconda Repubblica, sedicenti liberali o sedicenti progressisti, le tasse e le tariffe locali non hanno fatto altro che crescere. E senza alcun miglioramento sostanziale, apprezzabile, dell’efficienza e dei servizi di Regioni, Province, Comuni. Le imposte sulla casa e sui terreni sono addirittura esplose. Ma i governanti romani continuano a dire: “Non è colpa nostra. Prendetevela con gli enti locali”. Sennonché gli amministratori locali rimpallano la colpa e accusano il Governo di aver tagliato i fondi, costringendoli ad aumentare le entrate fiscali e parafiscali.

In questo ipocrita scaricabarile la suddetta imbecillità riluce come un diamante sul velluto nero. La gara tra centro e periferia, infatti, sembra giustificare il comportamento dell’uno e dell’altra, perché ambedue costretti dalla necessità a fare una politica che diversamente rifiuterebbero. Terza menzogna punibile penalmente. Nessuno costringe il Governo ed il Parlamento, le Regioni ed i Comuni, ad aumentare le tasse se non le spese che rifiutano di tagliare. Le Regioni ed i Comuni dicono che hanno fatto economie fino all’osso e che gli aumenti fiscali servono a rimpiazzare i trasferimenti che lo Stato non effettua più. Come al solito, le entrate devono seguire la spesa anziché viceversa.

Orbene, il contribuente italiano, che nonostante i proclami propagandistici della destra e della sinistra in sua difesa, di fatto non trova un patrono degno del nome, se ne frega, per dirla con linguaggio parlamentare, di non pagare un tot allo Stato dovendone versare un tot e mezzo alla Regione ed al Comune, con aggravio, per giunta, di triboli, incertezze, complicazioni, essendo spesso fino all’ultimo insicuro, per insipienza comunale, dei parametri dell’imposizione. La curva delle aliquote progressive lo Stato se la conserva per sé e le addizionali le regala a Regioni e Comuni, accrescendole. Dov’è il vantaggio per il cittadino? Questi imbecilli inventori di tributi e di addizionali sono anche, generalmente parlando, esaltatori della “Costituzione più bella del mondo” e dell’uguaglianza che ne sarebbe il cardine, mentre discriminano ferocemente i cittadini sull’occasionale base del luogo di nascita. Solo questa categoria di imbecilli “sui generis” pretende di far credere che più tasse locali significhino necessariamente miglior vita degli abitanti che le pagano.

Aggiornato il 14 giugno 2017 alle ore 18:41