Una lezione per Matteo Renzi

Nel loro delirio giustizialista e demagogico, gli esponenti del Movimento Cinque Stelle hanno accusato il Governo di aver varato una normativa anticorruzione troppo poco repressiva. Avrebbero voluto pene molto più pesanti e misure molto più repressive. Ed avendo registrato che le loro richieste non sono state accolte hanno accusato la maggioranza di aver fornito una dimostrazione palese di non voler combattere il fenomeno della corruzione.

Di fronte a simili forsennatezze, ispirate alla demagogia più smaccata, ci si sarebbe aspettato che Matteo Renzi avesse fatto spallucce infischiandosene di accuse chiaramente pretestuose e tipiche dei toni urlati delle ultime fasi di una campagna elettorale. Invece il Premier, nel timore di concedere qualche punto elettorale ai grillini ed il fianco scoperto ai gruppi più giacobini della magistratura, è montato in cattedra e, oltre a rivendicare il merito di aver innalzato al massimo le pene per la corruzione e di aver praticamente eliminato la prescrizione, ha orgogliosamente proclamato di non accettare lezioni da nessuno sul tema della legalità da lui riportata in un Paese che prima del suo avvento a Palazzo Chigi era, evidentemente, preda imbelle del malaffare.

Purtroppo per lui, però, una lezione se la merita. E questa lezione stabilisce che solo nei regimi autoritari la legalità di un Paese si misura sulla base dell’entità delle pene. Nei sistemi democratici e liberali l’entità delle pene serve solo a misurare il livello di repressione visto che la legalità dipende dalla tutela dei diritti e delle garanzie dei cittadini.

Qualcuno sostiene che Renzi ignori del tutto questa lezione perché fuorviato dai tanti “cattivi maestri” che dai tempi della sua partecipazione alla “Ruota della fortuna” lo hanno cresciuto a pane e giustizialismo. In realtà c’è qualcosa di più. La convinzione del Premier che sia l’entità delle pene a dimostrare il grado di legalità di un Paese è il frutto di una scelta più profonda e sentita. Renzi si maschera da liberale e garantista, ma in realtà è uno statalista autoritario per il quale i diritti e le garanzie dei cittadini sono una variabile dipendente (e non indipendente) dalle esigenze superiori dello Stato e di chi lo gestisce.

Ciò che preoccupa, quindi, non è la sua singolare rivendicazione del merito di aver riportato la legalità in Italia grazie ad una legge inutilmente repressiva. È la certezza che, come ha già dimostrato con l’anticorruzione o con il prelievo forzoso sulle pensioni, continuerà imperterrito a subordinare ed a piegare agli interessi del proprio Governo i diritti e le garanzie dei cittadini. Così fan tutti nei momenti di crisi? Nient’affatto. Così fanno solo gli statalisti illiberali gonfi di giacobinismo catto-comunista!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:15