Se l’unica verità diventa quella politica

A differenza di quanto ha sostenuto Raffaele Cantone, non trovo per nulla meritoria la decisione della Commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi di emettere liste di proscrizione di presunti “impresentabili” alla vigilia delle elezioni regionali di domenica prossima. E, sempre a differenza di quanto affermato dal Presidente dell’Autorità Anticorruzione, non considero soltanto “pericoloso” che a dare patenti di presentabilità sia un’autorità politica e non un’autorità giudiziaria.

In realtà il comportamento della Commissione Antimafia non è meritorio e tantomeno pericoloso (ma Cantone si è reso conto della contraddittorietà delle sue affermazioni?). È un demenziale passo in avanti lungo la strada dell’arbitrio, della prevaricazione, dell’intolleranza. In una parola, verso il trionfo di un giacobinismo terroristico incompatibile con il sistema democratico e funzionale ad ogni tipo di avventura autoritaria.

La Costituzione stabilisce che la linea della presentabilità o meno di un cittadino nella vita pubblica è fissata dalla presunzione d’innocenza. Se si è condannati in via definitiva si è “impresentabili”. Prima di questa condanna si continua ad titolari dei diritti civili e politici. Ma questa linea, che è quella della verità giudiziaria, è stata superata da tempo. L’egemonia giustizialista degli ultimi vent’anni l’ha ridotta a livello di reperto archeologico, una sorta di trincea della Prima guerra mondiale trasformata in museo a cielo aperto, da considerare abrogata di fatto dalla Carta Costituzionale. Ad essa è stata sostituita prima quella della incensurabilità delle persone. Che stabilisce la presentabilità o meno a seconda se si sia incensurati o meno a prescindere dalla gravità dei reati. Una linea che è sempre legata alla “verità giudiziaria”. E, successivamente, quella della eticità e della moralità del comportamento delle persone stesse. Linea che supera il confine fissato dai giudizi della magistratura, giudizi che comunque debbono rispondere ai criteri della equanimità, della terzietà, dell’oggettività, e stabilisce che la presentabilità debba discendere dal giudizio etico e morale dato da un’opinione pubblica normalmente influenzata dal circuito mediatico-giudiziario.

Con la presentabilità dipendente da un giudizio etico e morale siamo già ampiamente fuori del perimetro costituzionale. Ma con la scelta della Commissione Antimafia di stilare liste di proscrizione si compie un salto più lungo e decisivo. Si stabilisce che la linea della presentabilità è data dalla verità politica. Una verità che non risponde mai ai valori, ma sempre alle convenienze. Che per definizione non può mai essere equanime, terza, oggettiva ma sempre e comunque di parte. Che dipende da maggioranze variabili, occasionali, aleatorie. E che, soprattutto, viene regolarmente imposta da chi urla più forte e sventola più minacciosamente cappi, forche e manette per suggestionare un’opinione pubblica naturalmente portata, in tempi di crisi, a scaricare le sue paure e tensioni sui facili capri espiatori.

È dai tempi di Gesù e Barabba che la verità politica provoca aberrazioni. La Bindi, che si dice cattolica, dovrebbe ricordarlo. E chi lo ha dimenticato dentro la Commissione Antimafia in nome di un giacobinismo strumentale e da operetta non solo dovrebbe tenerlo a mente, ma anche non dimenticare mai che a lungo andare i giacobini intolleranti finiscono con salire sui patiboli da loro stessi impiantati. I puri hanno sempre in sorte di trovare i più puri che li epurano!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12