Iran, il fumo grigio  dell’accordo nucleare

Si va ai tempi supplementari, ma l’accordo sulla questione nucleare tra il regime iraniano e i 5+1 sarà firmato, mentre la questione non terminerà con la firma. “L’accordo” sarà siglato probabilmente il 7 luglio, che non è una data qualunque ma l’ultimo giorno utile per evitare che il Congresso statunitense abbia, non uno, ma due mesi per approvare l’accordo e revocare le sanzioni di sua competenza o immettere nuovi ostacoli e incognite sull’intesa. Già! Un solo mese in più aggraverebbe le disastrose condizioni del regime religioso al potere in Iran. Quando dall’altra parte del tavolo dei negoziati siedono i perfidi uomini indottrinati da Ali Khamenei, c’è sempre da aspettarsi qualche sorpresa; alla fine l’inchiostro scorrerà sull’accordo, proprio per le condizioni disperate del regime islamico di Teheran. L’accordo sarà figlio della debolezza della politica estera dell’Amministrazione di Barack Obama e dell’estrema vulnerabilità del regime islamico, immerso nelle sue crisi socioeconomiche e soprattutto politiche.

L’Iran e i 5+1 hanno bisogno di siglare l’accordo; in caso di fallimento, Hassan Rouhani, il presidente dei mullà, oltre a perdere i vitali 500 milioni di dollari al mese che riceve dallo scongelamento dei beni iraniani dal novembre 2013, non potrà più spendere le sue vacue promesse di miglioramento alla popolazione pronta a esplodere. Secondo le cifre ufficiali della banca centrale dell’Iran, il Paese viaggia con una recessione a -7 e un’inflazione a +40. Rouhani potrà scaricare il fallimento su Khamenei, e lo farebbe volentieri, ma rimane sempre la spada di Damocle: la Repubblica islamica riuscirà a sopravvivere alla sua Guida? Proprio Khamenei ha dato ordine a Rouhani - come aveva fatto nel 2009 con Ahmadinejad - di proseguire i negoziati, perché non poteva non farlo. Da qui l’intenso rapporto epistolare con Obama. I negoziati dovevano però concentrarsi sui siti già noti. Ecco perché nell’ultima maratona gli uomini del regime islamico, in particolare Zarif, cercavano di acquistare la “fiducia” dei partner anziché mostrare “trasparenza”. Bisogna affermare che i 5+1, soprattutto John Kerry, sono stati al gioco.

L’Amministrazione di Obama finora ha proseguito spedita sostenendo che era possibile far rinunciare il regime iraniano senza l’uso della forza militare. Questo è vero, ma non come fa lui. Nel corso della negoziazione i restanti cinque Paesi si sono chiesti se Kerry difendesse la parte dei 5+1 oppure quella iraniana. Obama, l’uomo dall’intelligenza corta, dopo la famosa “we don’t have a strategy yet” dell’agosto 2014, doveva pur ottenere qualche risultato nella sua fallimentare politica estera. Oltre al riallacciamento dei rapporti con la Cuba di Castro, tutto sommato maturo e prevedibile, una firma con gli iraniani gli è sembrata indispensabile, e su questa strada ha superato il proverbiale cinismo del suo predecessore repubblicano, Richard Nixon.

L’accordo avrà la sua firma, ma la questione nucleare sarà sempre aperta finché campa lo Stato islamico al potere in Iran. Uno Stato che non solo esporta il suo integralismo e terrorismo, ma fa della repressione interna la caratteristica intrinseca di uno Stato islamico che appartiene ai secoli ormai trascorsi, mentre la società civile iraniana viaggia nel ventunesimo secolo. La settimana scorsa il prestigioso Washington Institute for Near East Policy, think tank della capitale - molti esperti con l’esperienza in seno all’Amministrazione, tra cui il generale David Petraeus e il negoziatore Dennis Ross - in una lettera indirizzata alla Casa Bianca scriveva che “l’accordo non impedirà all’Iran di ottenere armi nucleari, perché non impone lo smantellamento delle infrastrutture per l’arricchimento. Le ridurrà soltanto per i prossimi dieci o quindici anni...”.

Tutte le parti negoziali, compresi i contraddittori uomini del regime tanto scaltri quanto languidi, esternano ottimismo e dichiarano che alla fine dal camino non uscirà il fumo nero. Temo che questa volta neanche i più devoti e interessati tifosi occidentali del regime dei mullà potranno giubilare; il fumo tutt’al più sarà grigio, così com’è la politica occidentale in tutto il Medio Oriente. L’inaffidabile Stato teocratico al potere in Iran, detestato dalla sua popolazione stremata dalla repressione e dalle pressioni economiche, non potrà dare nessuna garanzia sui suoi progetti nucleari per il futuro. Le armi nucleari fanno parte della strategia del regime di Teheran. Il cancerogeno regime dei mullà ha fatto già avanzare le metastasi in mezzo mondo. Questa morsa integralista potrebbe essere fatale se i governi occidentali tardassero ancora ad intraprendere la strada giusta, che è quella di affrontare il regime con fermezza e appoggiare la lotta degli iraniani per uno Stato di diritto.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:17