Verdini, cronaca di un addio annunciato

Nei giorni scorsi ci siamo occupati di Denis Verdini pensando che si dovesse porre una pietra tombale sulla sua infelice parabola politica. Oggi, con l’ufficializzazione dell’uscita da Forza Italia, tocca ritornare sull’argomento.

Il parlamentare toscano ha contato tanto, troppo, nel movimento berlusconiano. Nonostante ciò la sua missione può considerarsi naufragata. La più grande responsabilità è stata l’aver tessuto una trama che ha allontanato la forza parlamentare e di governo del centrodestra dalle aspirazioni e dai bisogni reali del suo blocco sociale di riferimento. E i risultati si sono visti. In cinque anni il centrodestra ha lasciato sul terreno nove milioni di elettori. Chi aveva votato Forza Italia prima e il Pdl dopo, sperando nella realizzazione di una rivoluzione liberale, è rimasto deluso. Si dirà che il fallimento di una grande promessa non possa essere addossato al solo Verdini. È vero. Ci sono cause profonde che stanno alla radice del forte ridimensionamento del centrodestra. Tuttavia, nell’ora delle scelte sbagliate il senatore Verdini era comodamente appollaiato sul trespolo del comando.

Poi, c’è la questione del “Patto del Nazareno”. Su questo tema Verdini non intende fare autocritica. Anzi, rilancia. Per lui l’accordo con Renzi doveva essere visto come un’opportunità preziosa per rientrare in un gioco di palazzo dal quale Silvio Berlusconi era stato malamente estromesso. Altro errore storico. La destra che tratta al ribasso con il suo avversario si autocondanna all’irrilevanza. Così è stato. Basta guardare, non i sondaggi che sono comunque impietosi per Forza Italia, ma gli esiti dell’ultima tornata elettorale amministrativa. Un disastro. Se non fosse stato per la capacità dei leghisti di reggere il fronte, il centrodestra avrebbe vissuto il dramma della sua “Caporetto”. Dicono i ben informati che Verdini vada a caccia di parlamentari forzisti scontenti per tirarli dalla propria parte. L’obiettivo sarebbe quello di assemblare una pattuglia al Senato che aiuti Renzi nell’intento di neutralizzare l’opposizione interna al suo partito. Se questo dovesse essere l’approdo della traversata verdiniana sarebbe l’ennesimo flop. Dall’abbraccio mortale con Renzi, Verdini potrà trarre anche qualche modesto vantaggio personale, magari sul fronte giudiziario come qualche maligno sussurra, ma non avrà certo reso un servizio a quel popolo che lo ha votato confidando nel principio di lealtà dell’eletto nell’esercizio del mandato parlamentare.

Il danno che l’operazione trasformista in preparazione reca alla politica tutta, e al centrodestra in particolare, è immenso. Ma questa débâcle non può non chiamare in causa lo stesso Berlusconi, il quale avrà fatto pure cose meravigliose nella vita ma sul fronte della scelta dei dirigenti di Forza Italia ha clamorosamente toppato. Purtroppo, sembra che anche quest’ultima vicenda non l’abbia indotto a cambiare registro. Verdini ha avuto lo spirito di presentarsi da Berlusconi prima dell’addio. Avrebbe dovuto trovare schierata la classe dirigente del partito al completo, pronta a chiedergli conto dei suoi comportamenti. Invece, a Palazzo Grazioli l’altro ieri c’erano i “soliti noti” di casa Berlusconi, cioè l’avvocato Ghedini, Confalonieri e il dottor Letta: l’avvocato di fiducia, l’amministratore dell’azienda di famiglia e il consigliere personale. Non c’erano la carne e il sangue di un movimento che dovrebbe appartenere alla gente prima che ai titolari del brand. Verdini è il passato, ma se il futuro di Forza Italia dovesse dipendere dalle decisioni di un consiglio d’amministrazione, allora il centrodestra non faccia affidamento sul valore aggiunto di un uomo/leader che, a suo modo, è stato grande. Saranno pochi quelli ancora disponibili a votare per un movimento politico che sembra assomigliare, nella gestione interna, a una fabbrichetta della Brianza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12