Due domande  a Raffaele Cantone

Nel disperato tentativo di salvare la poltrona di sindaco di Roma ed il proprio futuro politico, Ignazio Marino ha compiuto un atto assolutamente incredibile. Ha stipulato un protocollo d’intesa con il presidente dell’Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone, per assicurarsi il controllo da parte della stessa autorità delle gare d’appalto che il Comune, dopo mesi e mesi di ritardi, dovrà bandire nei prossimi mesi.

Non è bastato a Marino inserire nella propria giunta un magistrato proveniente dall’Antimafia come Alfonso Sabella per dimostrare all’opinione pubblica la propria volontà di combattere qualsiasi tipo di infiltrazione criminale nell’amministrazione capitolina. Ha voluto che dopo la tutela e la garanzia dell’Antimafia ci fosse sul Campidoglio anche la tutela e la garanzia dell’Anticorruzione per rendere evidente la propria intenzione di camminare sempre e comunque lungo i sentieri della virtù. Naturalmente a nessuno sfugge il carattere strumentale della decisione di affiancare al marchio antimafia assicurato da Sabella anche quello anticorruzione garantito da Cantone. Ma, a parte ogni considerazione sul fatto che quando una vergine mette la cintura di castità vuol dire che teme la debolezza della propria carne, c’è da considerare che questa ricerca ossessiva di patenti di virtù provenienti da esponenti del mondo della giustizia costituisce una pericolosa distorsione nella struttura istituzionale di un Paese.

Marino, in sostanza, non si fida della capacità della propria amministrazione di resistere alle tentazioni e si rivolge alla magistratura per avere la garanzia che ogni eventuale tendenza all’illegalità verrà impedita. Ma in questo modo non solo dimostra di non essere in grado di garantire il rispetto della legge nella propria amministrazione, ma pone l’amministrazione stessa in una condizione di minorità e di subordinazione istituzionale nei confronti della magistratura. Cioè non rispetta il principio costituzionale della separazione dei poteri, ma realizza nei fatti una commistione ed una confusione dei poteri fissando una scala gerarchica in cui al vertice ci sono le toghe ed alla base gli amministratori locali.

Dietro questo comportamento non c’è un disegno organico di riforma istituzionale fondato sulla convinzione che il Paese è talmente marcio da rendere indispensabile il governo dei giudici. Al povero Marino non si può minimamente attribuire la capacità di elaborare un progetto tanto elevato quanto perverso. C’è solo il forsennato tentativo di trovare comode foglie di fico per salvare la poltrona e l’onorabilità personale. Stupisce che in questa azione il sindaco di Roma abbia trovato la sponda offertagli da Raffaele Cantone. Che non ha bisogno di stipulare un protocollo d’intesa per assicurare quell’azione di prevenzione dei rischi di corruzione nelle pubbliche amministrazioni che rientra nei compiti istituzionali della autorità di cui è responsabile.

Cantone non si rende conto che d’ora in avanti scatterà la corsa delle amministrazioni locali alla ricerca della foglia di fico a chiedere di firmare un protocollo d’intesa simile a quello stipulato con Marino? E non crede Cantone che un fenomeno del genere, oltre ad essere ridicolo, sarebbe anche devastante per il sistema istituzionale del nostro Paese?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:18