Servono più idee per il Meridione

Non ci vuole una idea sola per il rilancio del Sud. Ce ne vogliono molte di più e tutte inserite in un progetto organico che disegni quale Meridione ci dovrà essere dopo il 2050.

Qualcuno dirà che il Governo Renzi dovrebbe elaborare un piano di sviluppo, come si faceva negli anni Sessanta e Settanta quando la cultura marxista egemone dell’epoca scambiava la programmazione democratica per una copia delle pianificazioni sovietiche. Di piani di questo genere, però, è meglio farne a meno. Perché il Sud ne ha già sperimentati parecchi e tutti con effetti poco positivi. Il primo piano in questione, mai formalizzato e mai definito come tale ma fin troppo realizzato, fu quello dell’Italia liberale post-unitaria. Quel piano era incentrato su una sola idea: l’emigrazione di massa. I meridionali vennero incentivati con ogni mezzo ad abbandonare i loro villaggi e territori nell’illusione che la riduzione della pressione demografica provocata dal Sud sullo stato unitario da poco nato avrebbe consentito di evitare quei ribellismi e quelle tensioni sociali tipiche dell’ex regno borbonico, considerate uno dei primi e principali pericoli di disgregazione dello Stato appena nato. Quell’idea ridusse sicuramente la tensione sociale e, paradossalmente, aiutò con le rimesse degli emigranti le finanze del Paese. Ma accentuò la naturale e storica diffidenza della società meridionale nei confronti delle istituzioni statali, divenute ai suoi occhi una semplice replica delle dominazioni francese e spagnola.

L’obiettivo di sanare questa frattura divenne l’obiettivo principale del regime fascista. Non lo sviluppo ma la nazionalizzazione delle masse meridionali costituì l’idea di fondo dello Stato divenuto autoritario che perseguì questo progetto con la lotta alla mafia in Sicilia e con le realizzazioni di grandi opere pubbliche in tutto il territorio meridionale. Nessuno può dire se quella ricetta di modernizzazione forzata e totalitaria avrebbe potuto funzionare. La guerra ne vanificò i risultati costringendo le classi dirigenti post-fasciste e democratiche a rilanciare la ricetta dell’emigrazione che, fino all’inizio degli anni Cinquanta, seguì le rotte tradizionali estere e dalla metà di quel decennio provocò la più grande trasmigrazione interna mai verificatasi nel nostro Paese. Le masse meridionali trapiantate al Nord assicurarono con i loro bassi salari il miracolo economico. Ma le ricadute al Sud furono scarse ed alla fine produssero l’idea che solo puntando sull’industrializzazione realizzata dallo Stato si sarebbe potuto creare una classe operaia destinata a trasformare progressivamente la società meridionale, liberandola dalle nuove mafie e dal tradizionale gattopardismo e trascinandola a forza nella modernità.

Oggi prendiamo atto che anche quel piano di sviluppo fondato sulla sola idea della industrializzazione è miseramente fallito. Le cattedrali nel deserto sono in rovina e su quelle macerie è tornata a dominare la criminalità organizzata in tante mafie distinte per regione, ma accomunate dalla pretesa di controllare ed occupare il territorio in alternativa allo Stato.

E allora? Il progetto del Governo Renzi di puntare sulla ripresa del Sud è encomiabile, ma solo a condizione che abbia più idee su cui puntare. La lotta alle mafie è una di queste. L’impegno sulle infrastrutture, anche. Ma da sole non bastano. Come non bastarono al fascismo, che pure poteva contare su metodi totalitari.

C’è da incentivare il tessuto delle piccole e medie imprese. Ma soprattutto, accanto ad una post-industrializzazione compatibile, c’è da puntare su ambiente, cultura, turismo. Cioè su quelle peculiarità del Meridione a cui nessuno ha mai dato la priorità!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:16