Migranti, un caso di politica estera

Le coste italiane sono piene di torri d’avvistamento che avrebbero dovuto proteggere dalle scorrerie dei “turchi” o dei “saracini”. Sulla carta questo sistema di difesa era perfetto. Le torri erano a vista tra di loro e munite di strumenti di segnalazione come lampate, specchi, fuochi con cui le piccole guarnigioni di guardia potevano comunicare tra di loro e mettere tempestivamente in allarme le comunità della costa e dell’entroterra della minaccia in arrivo sui barconi avvistati in mezzo al mare.

Malgrado la perfezione apparente, però, il sistema non ha mai prodotto il risultato per cui era stato concepito e realizzato. Le scorrerie dei predoni provenienti dal mare sono andate avanti nei secoli. E sono finite solo quando non l’Italia ma l’intera Europa ha trovato la forza, prima di tutto politica e morale e successivamente anche militare, di trasformare quello che per tanto tempo era sembrato essere un problema di politica interna di ogni singolo Stato in un problema di politica estera dell’intero Continente allora definito cristiano.

La storia non si ripete, ma è fonte di insegnamento. E allora è facile rilevare che non saranno i muri, i blocchi navali o, peggio, l’accoglienza indiscriminata e gestita solo per interesse economico, a frenare il gigantesco fenomeno migratorio in atto dall’Africa e dal Medio Oriente verso un’Europa che ha perso il collante cristiano e non è riuscita a sostituirlo con quello dell’unità politica continentale. Solo nel momento in cui il fenomeno perderà la sua natura di strumento di dibattito politico interno a ciascuno Stato e verrà percepito come la priorità assoluta della politica estera europea, si potrà sperare di poterlo fronteggiare in maniera efficace e risolutiva.

Non ha affatto torto chi rileva che una delle cause principali della trasmigrazione di massa in atto è proprio la politica estera sbagliata delle potenze europee, quella che è passata dal colonialismo politico a quello economico senza soluzione di continuità ed ha prodotto, senza neppure andare a scavare nella storia degli ultimi due secoli ma limitandosi agli anni più recenti, i disastri attuali. Ma rilevare che la responsabilità passata e recente (basti pensare alla guerra in Libia, al mancato intervento in Siria o alla follia della presidenza Obama di puntare sulla primavera araba dei Fratelli Musulmani) sia dell’Occidente può soddisfare i sensi di colpa ma non cambia la natura del problema. E fino a quando non sarà l’Europa (altro che Onu!) ad accettare che l’immigrazione è la priorità di politica estera comune su cui si gioca il futuro del Continente l’invasione dal Sud continuerà senza sosta. Come le scorrerie di “mamma li turchi!”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:17