Giorgia Meloni vittima della morale di Stato

Che il signor Matteo Renzi avesse pessime intenzioni riguardo al futuro dell’Italia lo avevamo sospettato fin dal momento della presa di Palazzo Chigi. Ora, però, abbiamo le prove inconfutabili che il blocco di potere insediatosi al governo del Paese sta scoprendo l’utilità di dotarsi di uno “Stato etico”, tipico strumento dei regimi totalitari, per imporre la propria riforma culturale. È la lotta per l’egemonia di gramsciana memoria quella che si sta combattendo tra un tweet e l’altro. Il terreno di conquista è quello della trasformazione in senso multiculturale e multietnico della nostra comunità nazionale; lo strumento è quello dell’accoglienza indiscriminata che nasconde i numeri e la qualità di un’ondata migratoria “in progress”.

In nome della “santa causa” una parte della Pubblica amministrazione, abbandonata la sua tradizionale neutralità, si presta a fare da gendarme del pensiero unico renziano. Un esempio? Il recente caso Unar/Meloni. La leader di Fratelli d’Italia ha subìto da un ufficio pubblico un’ingiustificabile censura per un articolo pubblicato a sua firma il 29 giugno 2015 dalla testata on-line “Stranierinitalia.it”. Giorgia Meloni ha scritto di essere favorevole alla selezione nel processo d’integrazione degli immigrati. Dal suo punto di vista bisognerebbe concedere l’ingresso a quei gruppi umani che sono per tradizioni, religione e cultura più affini alle nostre radici spirituali e, nel contempo, chiudere le porte a quelle culture ambigue che non hanno chiarito la natura del loro rapporto con la civiltà occidentale in generale e greco-romana, e giudaico-cristiana, in particolare. L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar), posto alle dirette dipendenze del Dipartimento delle Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, ha inviato, lo scorso 31 luglio, un monito scritto alla parlamentare contestandole il contenuto dell’articolo come sfavorevole al “processo d’integrazione e di coesione sociale”.

La lettera-ammonimento si conclude con l’invito all’onorevole Meloni “a considerare per il futuro l’opportunità di trasmettere alla collettività messaggi di diverso tenore”. La Meloni non ha bisogno di difensori d’ufficio perché sa sbrigarsela bene da sola, tuttavia non possiamo esimerci dal dovere di denunciare il tentativo di questo governo di mettere il bavaglio a chi osa pensarla diversamente, soprattutto in materia di azzeramento delle frontiere per far posto alla massa di immigrati in arrivo. Per dirla come la racconterebbero le anime belle della sinistra: è uno scandalo assoluto, un colpo alla democrazia nel nostro Paese. Si tenta di imporre una nuova forma di totalitarismo ideologico sotto le mentite spoglie del buonismo all’italiana. Ma si può rinunciare ai più elementari diritti di libertà in nome del nuovo credo multiculturalista? È tollerabile che un ufficio governativo si prenda la briga di violare apertamente la Costituzione nel silenzio generale degli organi di controllo e di vigilanza? Quale sarà il prossimo passo? L’apertura di campi di rieducazione per i dissidenti sul modello della Cina di Mao Zedong? Non ci stupiremmo viste le ascendenze ideologiche e le storie individuali di molti “democratici” che oggi affollano le schiere del centrosinistra.

Le parole sono pietre, come ammoniva Carlo Levi. Talvolta, sono pericolosi macigni scagliati sul mondo libero. Matteo Renzi dovrebbe precipitarsi a sanzionare quell’Ufficio che si è arrogato il diritto di censurare un parlamentare e dovrebbe spedire l’estensore della lettera a svolgere lavori socialmente utili. Ovviamente non lo farà perché la violazione dell’articolo 68 della Costituzione, compiuta dall’oscuro funzionario governativo, ha certamente avuto paternità altolocate, magari alloggiate ai piani alti di Montecitorio e in qualche principesca residenza vaticana.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:16