Ora Angela Merkel  ci sfila anche la Libia

Nel “lontano” 2013 l’eurodeputato inglese Nigel Farage, leader del movimento indipendentista ed euroscettico Ukip, in un’intervista rilasciata al settimanale ItaliaOggi, pronunciò una sentenza lapidaria: “L’Italia non è più uno Stato sovrano, ma una colonia della Germania”.

Poteva sembrare un’esagerazione propagandistica, ma non lo era. Gli anni del governo renziano hanno dimostrato la fondatezza di quell’affermazione. Sul fronte della finanza pubblica abbiamo dovuto fare puntualmente i compiti che, formalmente, ci venivano assegnati a Bruxelles ma, in sostanza, erano dettati dalla signora Merkel. Molti hanno giustificato il giogo tedesco perché, da incalliti debitori, non avremmo potuto fare diversamente per conservare il privilegio di restare nell’Euro. Eravamo descritti come gli scialacquatori edonisti che avevano bisogno di un po’ di sano rigore luterano per rimettersi in riga. E un Mario Monti poteva starci a fagiolo. Poi però si è passati allo scacchiere internazionale. In quel campo non avevamo un passato negativo da farci perdonare, eppure la musica non è cambiata. Già sulla crisi ucraina si è compreso che l’Italia del dopo-Gheddafi non contava nulla.

Notizia di oggi è che nella partita-Libia entra di prepotenza la Germania. Lo fa imponendo alla guida della missione di mediazione dell’Onu per la stabilizzazione del Paese africano un proprio uomo al posto dell’uscente Bernardino Leòn. Secondo fonti giornalistiche, il designato sarebbe Martin Kobler. La cosa scandalosa è il sì dell’Italia alla nomina. Quindi, la Germania ci sfila dalle mani l’opportunità di guidare il processo di pacificazione in una terra le cui dinamiche interne si ripercuotono naturalmente sulla nostra vita sociale. E sulla nostra economia. Sarebbe toccato a noi mettere le cose a posto e invece arriva la Merkel. Questo è possibile soltanto se si assume a presupposto l’analisi di Farage. L’Italia non è più sovrana, o meglio vive da quattro anni una condizione di sovranità limitata grazie alla quale le scelte impegnative di politica estera non spettano più al governo legittimo di Roma, ma a qualcun altro insediato a Berlino.

L’Italia protettorato tedesco: che bella fine abbiamo fatto! Grazie Renzi e, soprattutto grazie Napolitano. È doloroso ammetterlo ma l’Italia di Sigonella non esiste più. Non c’è da nessuna parte un Craxi che mette sugli attenti un Ronald Reagan. Restano sulla scena solo personaggi da opera buffa. Non più tardi di qualche giorno fa il nostro premier, dalla tribuna del Palazzo di Vetro, aveva intonato un panegirico su un’Italia pronta a un ruolo guida per l’assistenza e la stabilizzazione di quel paese “se il governo libico ce lo chiede”. C’era anche l’intervento militare di peacekeeping che si leggeva tra le righe del proclama di New York. Che ipocrita, bugiardo! Faceva la ruota come il pavone sapendo di aver già svenduto la leadership del negoziato alla signora Merkel. E questo sarebbe l’uomo del destino degli italiani? Per un attimo abbiamo creduto che il giovanotto fosse stato preso da un sussulto di orgoglio. Che errore il pensarlo! Avremmo dovuto dare ascolto ai più scafati colleghi dei giornaloni che, avendolo pesato da tempo, non si sono scaldati più di tanto ad ascoltare il suo “grandioso” discorso alle Nazioni Unite.

Il “Corsera” ne ha parlato, l’altro ieri, in quindicesima, molto dopo la “paginata” su Berlusconi che compra una villa alla sua fidanzata. Morale della favola: da domani gli imprenditori italiani che hanno interessi in Libia, a cominciare dall’Eni, dovranno recarsi in pellegrinaggio a Berlino sperando che resti per loro qualche briciola dopo la calata degli affaristi alemanni sul “bel suol d’amore”. Mentre la signora Merkel darà le carte anche a Tripoli, Renzi continuerà a obbedire. Questo è il destino di un servo, non di una nazione.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11