Italia in guerra contro i tagliagole

L’Italia entra in guerra contro gli jihadisti dell’Is, lo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi. Forse. Ci sono indiscrezioni giornalistiche in tal senso ma, al momento, il governo non conferma. Speriamo lo faccia al più presto. È il legittimo governo iracheno che ce lo chiede. La questione verte sulla modifica delle regole d’ingaggio per il nostro contingente attualmente operativo in Iraq a supporto della coalizione anti-Is.

L’ordine di attacco consentirebbe ai quattro Tornado, dislocati nella base area “Ahmed al Jaber” in Kuwait, di effettuare bombardamenti contro le postazioni dei terroristi dell’Is. Attualmente il nostro gruppo aereo si limita a missioni di ricognizione e di “illuminazione” dei target per conto delle forze della coalizione. Con questa decisione il nostro paese abbandonerebbe le retrovie per posizionarsi in prima linea contro i propri nemici. Non conosciamo i motivi che hanno fatto cambiare idea a Matteo Renzi e ai suoi, costringendoli a lasciare da parte la solfa buonista e ad assumere, per una volta, una posizione chiara. Probabilmente è stato l’alleato d’Oltreoceano a pretendere dall’Italia una maggiore partecipazione.

La presenza a Roma, in queste ore, del segretario statunitense alla Difesa, Ashton Carter, potrebbe non essere casuale. Comunque sia, anche se dovessimo appurare che il governo italiano a questa decisione è stato trascinato per la collottola, siamo soddisfatti. Fare come gli struzzi, nascondendo la testa sotto la sabbia nella speranza che i nemici non si accorgano di noi, non serve a nulla. La guerra c’è e bisogna prenderne atto. Ora, dobbiamo dirci con franchezza che se si giunge allo scontro armato, alla fine qualcuno perderà e qualcun altro vincerà. Allora è bene che sia la nostra civiltà a vincere sulla nuova barbarie. Continuare a dire che dalla guerra nessuno esce vincitore ma tutti sconfitti, come fanno i pacifisti integrali di casa nostra, è una sciocchezza che non regge. Se l’intervento dovesse essere confermato, come fortemente auspichiamo, sarà comunque un impegno a metà perché i nostri quattro vecchi, ma affidabili, Tornado agiranno esclusivamente nello spazio territoriale iracheno. Non si spingeranno in Siria, dove la situazione è certamente più complessa. Per il momento accontentiamoci. Tuttavia, sarebbe opportuno che il nostro governo, alla luce del significativo cambio di posizione all’interno della coalizione, si spendesse sul piano dell’azione diplomatica per convincere il presidente Obama a trovare un’intesa con Mosca. L’intervento in Siria deve essere restituito a una strategia unitaria e inclusiva della coalizione anti-Is. Procedere in ordine sparso può soltanto complicare le cose rischiando pericolosi incidenti da “fuoco amico”.

Resta, però, il problema che l’aggressione dal cielo da sola non basta. Per chiudere la partita con i tagliagole è necessario mettere gli “scarponi sul terreno”, come dicono gli anglosassoni. Fin quando non vi sarà una massiccia offensiva di truppe di terra, che stanino gli “scarafaggi” casa per casa, non si potrà ragionevolmente cantare vittoria. Iraq, Siria e, infine, Libia. Questo è il percorso che attende la coalizione per debellare i focolai più infettivi del terrorismo jihadista. Prima lo si farà, prima il mondo potrà tirare un sospiro di sollievo. Questo pianeta sta diventando sempre più piccolo. Se non troveremo un giusto equilibrio tra civiltà finirà che non ci staremo tutti. Quindi, eliminare i più pericolosi non soltanto è un atto morale legittimato dal naturale diritto alla difesa ma è un servizio reso alle future generazioni che potranno godere di tutto quanto finora la civiltà occidentale ha costruito perché si tramandasse. E se per conseguire questo supremo scopo occorre fare la guerra, che guerra sia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:16