I veri obiettivi della Russia in Siria

Ad una settimana dall’inizio dei raid russi sulla Siria è possibile capire quali siano i reali obiettivi di Mosca, al netto della massiccia campagna di propaganda che ha preceduto e sta accompagnando la sua azione militare. I raid aerei russi, contrariamente a quel che viene dichiarato dal Cremlino, stanno colpendo solo in minima parte le postazioni dell’Isis, ma si concentrano nella fascia costiera occidentale, in territori occupati da milizie ribelli nemiche sia di Assad che del Califfato. Nel corso di questa campagna, i russi hanno colpito in almeno due modi gli interessi della Nato, bombardando milizie addestrate dalla Cia e poi sconfinando nello spazio aereo turco e rischiando uno scontro diretto con l’aviazione di Ankara.

Da un punto di vista militare, l’intervento russo è più intenso rispetto a quello della Coalizione e più territorializzato. Stando a tutte le dichiarazioni delle autorità civili e militari russe, la campagna dovrebbe finire entro, al massimo, il mese di novembre. La compressione dei tempi è comprensibile: la catena logistica russa è lunga e complessa. I rifornimenti possono arrivare, per via aerea solo attraverso Iran e Iraq, sorvolando aree di conflitto, oppure via mare attraverso i Dardanelli, controllati dai turchi e dunque in territorio Nato. Non è chiaro quanto i russi siano in grado di sostenere operazioni militari in un’area così remota per un lungo periodo di tempo: per ora le azioni di guerra russe sono sempre state combattute all’interno della Russia (Cecenia) o a ridosso dei suoi confini (Georgia), oppure appoggiando una guerriglia confinante (Ucraina) e questa in Siria è la prima prova russa di proiezione di potenza fuori area.

Il limite temporale dell’intervento russo si spiega anche con la natura limitata degli obiettivi, che non sono quelli di distruggere l’Isis, ma solo quelli di mettere al sicuro le basi di Tartus e Latakia, sulla costa del Mediterraneo. I primi ad essere stati colpiti sono i volontari ceceni che combattono nell’Ovest della Siria. Quelli, cioè, che potrebbero rientrare a combattere nel Caucaso contro i russi dopo un’esperienza bellica in Siria. Gli altri obiettivi sono milizie di ribelli sunniti che possono minacciare più da vicino le basi russe. L’azione è (e probabilmente rimarrà) esclusivamente aerea, mentre l’offensiva di terra sarà condotta dall’esercito regolare siriano e dai “volontari” iraniani, che continuano ad affluire in gran numero a Damasco. Un coordinamento fra Russia e Iran è già in atto da agosto, quando i vertici dei due paesi si sono incontrati a Mosca.

L’obiettivo di lungo periodo è politico, oltre che militare: consolidare una presenza russa nel Mediterraneo orientale, con una base navale (Tartus) e una nuova base aerea (Latakia). Nell’ottica della nuova guerra fredda (che il Cremlino crede fermamente sia già in corso), questa duplice base è un primo tassello di una maggior presenza russa nel Medio Oriente, in una regione che, dal 1990 ad oggi, era un quasi- monopolio militare statunitense. Qualunque operazione americana in quell’area, d’ora in avanti, avrà sempre più bisogno di una luce verde da Mosca, che difficilmente verrà accesa. La più potente mossa propagandistica compiuta da Mosca è l’incursione nello spazio aereo turco, avvenuta “non per sbaglio”, come concordano le analisi di parte Nato. La Turchia ha scortato gli aerei incursori fuori dal suo spazio aereo, ha minacciato dure conseguenze, ma poi, a seguito di una forte pressione diplomatica russa (merito anche degli accordi sul gas recentemente stipulati) ha fatto marcia indietro. È stata la più grande dimostrazione di impotenza del principale attore militare dell’area anti-Assad.

Mosca ha già vinto la guerra di propaganda, non solo contro la Turchia, ma anche e soprattutto contro gli Usa. L’ambiguità degli schieramenti e il caos, che regna sovrano in Siria, hanno finora permesso alle autorità russe di colpire milizie che non sono dell’Isis pur continuando ad affermare, in tutte le sedi, che la loro è una campagna unicamente rivolta contro lo Stato Islamico. Al tempo stesso, gli Usa e i membri della Coalizione anti-Isis non hanno alcuna possibilità di rispondere a questa campagna di propaganda, perché non possono dichiarare apertamente di aver armato e addestrato milizie ribelli contro Assad. L’amministrazione Obama e la Nato hanno, piuttosto, cercato di contestare la Russia sul piano umanitario, denunciando bombardamenti su aree residenziali e vittime civili. Peccato, però, che proprio in quei giorni aerei Nato abbiano colpito un ospedale di Medici Senza Frontiere a Kunduz, in Afghanistan. E anche la linea umanitaria è stata completamente screditata. Non a caso, dei bombardamenti russi sui civili non si parla più.

La Russia ha incassato la condanna di ulema sauditi e dalla galassia dei predicatori del mondo sunnita, ma anche questo attacco, dal punto di vista del Cremlino, è una vittoria propagandistica. Mosca, infatti, nel lungo periodo non mira affatto a conquistare i cuori e le menti del mondo islamico, ma quelli del mondo occidentale europeo. In particolar modo: delle destre europee. L’ostentazione del linguaggio religioso, come la benedizione delle armi e degli aerei da parte dei pope ortodossi e il proclama del Patriarcato di Mosca che ha legittimato la “guerra santa” a protezione dei cristiani di Siria, sono rivolti soprattutto a un pubblico cristiano. Che da anni non si sente più difeso, né tantomeno rappresentato da un’amministrazione Obama che esita a combattere contro gli jihadisti, arma milizie islamiche anti-Assad (la cui lealtà e i cui ideali sono tutti da verificare), mira a convincere esclusivamente un pubblico e governi mediorientali musulmani per creare coalizioni locali, evitando ogni riferimento religioso. La macchina della propaganda del Cremlino si avvale della collaborazione attiva, il più delle volte spontanea, di un sottobosco di siti, blog e utenti di social network che hanno creato già da anni un’immagine negativa dell’intervento statunitense in Medio Oriente, una parte sempre più ampia di opinione pubblica europea, soprattutto di destra, che considera come “un fatto accertato” che l’Isis sia una creatura americana e che Israele sia la “master mind” del Califfato.

In Siria, invece, la stessa macchina della propaganda russa usa tutt’altro linguaggio, mirando a convincere i suoi alleati locali (Iran, Hezbollah, Assad) a combattere contro un nemico comune: Usa, Israele e milizie sunnite. Ad esempio, in un volantino rivolto a un pubblico arabo e scritto in lingua araba, un jihadista dell’Isis è raffigurato come un pupazzo caricato con una molla americana azionata da una manina con bandiera israeliana. È un tema tipico della propaganda araba, compresa quella di Assad. Ed è l’ulteriore dimostrazione che la Russia combatte in Siria, ma quel che le interessa veramente è sempre il confronto globale con gli Usa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:14