La Jihad dei pugnali contro Israele

Eitam Henkin e sua moglie Naama sono state le prime vittime dell’ondata di violenza palestinese contro civili israeliani. Crivellati di colpi sulla loro auto, davanti agli occhi dei loro quattro bambini, sono stati i primi di una lunga serie di aggressioni, commesse con qualunque tipo di arma: pistole, mitra, pietre, coltelli. Soprattutto coltelli. Questa è già stata ribattezzata dai media “Intifadah dei pugnali”. E’ ancora troppo presto per parlare di “Terza Intifadah”, di una terza tappa della guerra insurrezionale palestinese contro lo Stato ebraico, dopo quella del 1987-1991 (“Intifadah delle pietre”) e del 2000-2005 (“Intifadah dei kamikaze”). Ma la violenza attuale ha già quasi compiuto il suo primo mese, dopo gli scontri sul Monte del Tempio di metà settembre e inizia a diventare qualcosa di molto più grave di una serie di attentati sporadici.

Gli aggressori palestinesi, spesso improvvisati, anche minorenni, non fanno parte di milizie organizzate o di network terroristici riconoscibili. Per l’ennesima volta, dunque, suona l’allarme del “terrorismo fai da te”, come all’inizio del 2015 sempre a Gerusalemme. La causa immediata di questa nuova ondata di aggressioni è una nuova lite sul Monte del Tempio, o Spianata delle Moschee per i musulmani. In vista del capodanno ebraico, il ministero della Difesa israeliano aveva sciolto per decreto due corpi di volontari palestinesi a guardia della Spianata, quello dei Murabitun e delle Murabatat, dopo aver raccolto prove e indizi a sufficienza per sospettare che stessero preparando aggressioni contro gli ebrei in preghiera. Quel che i musulmani temono è che gli ebrei si impossessino di nuovo della Spianata per ricostruire il Tempio (quello distrutto dai romani nel 70 d.C.). Lo scioglimento dei due corpi di volontari ha dato adito a una prima ondata di proteste sul web e al fiorire di teorie del complotto. Si è diffusa la voce che gli ebrei stessero impedendo ai musulmani l’accesso alla Spianata e questo è stato sufficiente per dare inizio all’attacco. Prima è avvenuto il cozzo frontale fra polizia e islamici palestinesi, fra il 12 e il 13 settembre, alla vigilia del capodanno ebraico: 110 feriti. Poi sono iniziate le aggressioni individuali e le sollevazioni dei quartieri di Gerusalemme Est e dei villaggi palestinesi.

La causa immediata è la lite sul Monte del Tempio. Ma la causa più profonda è un’altra. Non la si può neppure rintracciare nel tentativo di Abu Mazen di ricominciare i negoziati sui confini palestinesi da una posizione di forza. E’ anche quella una causa temporanea, ma i palestinesi non mirano solo a confini più comodi. La causa remota, quella che è all’origine di tutte le guerriglie palestinesi in Israele, è sempre una: la jihad, la volontà di riconquistare Gerusalemme e tutto il territorio mediorientale all’Islam. La Tv palestinese (non quella di Hamas, ma quella del “moderato” Abu Mazen), questo mese trasmette messaggi di questo tenore: “Noi vi benediciamo, benediciamo i murabitun, benediciamo ogni goccia di sangue versata per Gerusalemme, che è sangue pulito e puro se versato per Allah, ad Allah piacendo. Ogni martire (shahid) andrà in paradiso, e ogni ferito sarà ricompensato per volontà di Allah. La moschea di Al-Aqsa è nostra, la Chiesa del Santo Sepolcro è nostra (prendano nota i cristiani filo-palestinesi, ndr), e non hanno alcun diritto di profanarle con i loro piedi sozzi. Noi non permetteremo loro di farlo e faremo tutto quanto in nostro potere per proteggere Gerusalemme”. Lo stesso linguaggio sui “piedi sozzi” profanatori è stato usato da Abu Mazen in persona, quando, a settembre, proclamò al popolo palestinese “non permetterò agli ebrei di profanare la moschea di Al Aqsa con i loro piedi sozzi”. E nelle scuole palestinesi (non di Hamas, è bene ripeterlo, ma proprio quelle dell’Autorità Palestinese, quelle aiutate dai fondi europei), si imparano canzoni e poemi come questo: “Voi [ebrei] siete destinati all’umiliazione e alla sofferenza. O figli di Sion, siete le peggiori creature: scimmie incivili, patetici maiali […] Gerusalemme vi vomiterà, perché siete impuri ed essa è pura; essa è pulita e voi siete sporchi […] Non ho paura della vostra barbarie finché il mio cuore è il mio Corano e la mia città, finché reggo nella mano le armi e le pietre”.

La causa immediata di questa insurrezione viene attribuita dai media arabi e occidentali ad una “provocazione” israeliana, quella della Spianata delle Moschee. Anche nell’Intifadah del 2000, la causa era attribuita alla “provocazione” di Sharon, sempre nella spianata delle moschee. Ma si tende a dimenticare in cosa consista questa “provocazione”: la mera presenza di un ebreo nella Spianata delle Moschee. Quando va bene, i cristiani e gli ebrei possono anche entrare a periodi alterni, ma non possono comunque pregare. Un ebreo è stato arrestato due giorni fa, dalla polizia israeliana, perché aveva intenzione di recitare preghiere sulla Spianata, un atto considerato sovversivo e provocatorio. Già questo singolo episodio dovrebbe spiegare tutta la logica che è dietro al conflitto: ciò che è terra islamica, o ciò che è stato terra islamica nella storia, è precluso agli “infedeli”. Esattamente lo stesso motivo per cui i non musulmani non possono neppure sorvolare la Mecca e Medina. Esattamente lo stesso motivo per cui il Califfato, nelle sue mappe, indica anche la Sicilia e la Spagna come terre da (ri)conquistare. La finzione della “guerra di indipendenza” palestinese crolla di fronte a questa semplice, fin banale realtà: un ebreo non può pregare in una piazza della capitale di Israele, altrimenti gli jihadisti insorgono.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11